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CROTONE – Le indagini legate all’operazione Malapianta, che hanno portato al fermo di 35 persone non solo nel crotonese ma anche in altre province calabresi (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE MALAPIANTA), sono partite già dal mese di ottobre 2015, come stralcio dall’operazione “Kyterion”.

In quell’occasione, la procura ha delegato alla Guardia di Finanza di Crotone «l’incarico di compiere ogni attività investigativa congrua a delineare la partecipazione associativa dei soggetti ad una organizzazione criminale di stampo mafioso».

L’indagine inizialmente aveva riguardato solo Alfonso Mannolo, Albano Mannolo, Remo Mannolo, Leonardo Mannolo, «quelli cioè emergenti in maniera evidente dalle risultanze dell’operazione Kyterion».

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Tuttavia «l’analisi dei dati investigativi complessivi» ha portato a far emergere l’esistenza di «una “locale di ndrangheta”, con riferimento non solo ai soggetti elencati, nel comprensorio di San Leonardo, nel senso che gli esiti di tale attività investigativa – scrive la procura nel provvedimento di fermo – consentono oggi di ritenere fondata l’esistenza di una famiglia di ‘ndrangheta, con sede genetica e base logistica nell’ambito della più ampia locale di San Leonardo di Cutro, ricadente nel Comune di Cutro, in provincia di Crotone, con ramificazioni operative non solo in Calabria ma anche in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, nonché, con proiezioni estere».

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Inoltre, «in seno a tale famiglia, componente insieme alle altre la locale di Cutro e San Leonardo di Cutro» emerge il «ruolo apicale svolto da Alfonso Mannolo, quale referente principale dell’omonima famiglia di ndrangheta, nonché dai figli di quest’ultimo, Dante e Remo».

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Utilizzando anche le risultanze di altre indagini nonché le dichirazioni di alcuni collaboratori di giustizia e l’impiego di investigazioni tradizionali e tecniche, gli inquirenti oggi possono «asserire l’esistenza di una locale di ndrangheta operativa a San Leonardo, funzionalmente inserita nell’organigramma delle cosche cutresi, al cui vertice è da collocare un organo collegiale denominato “Provincia”, egemone sulla fascia ionica catanzarese e crotonese, con base strategica di comando nel territorio di Cutro, nella persona di Nicolino Grande Aracri».

La locale sanleonardese è, una «organizzazione delinquenziale ben identificata nei contesti criminali “crotonesi”. Il gruppo criminale – scrive la procura – risultava subitaneamente coeso, strutturalmente complesso ed estremamente organizzato. Lo schema strutturale del sodalizio, per come derivato dalle investigazioni, contempla una netta divisione di ruoli e competenze, secondo un paradigma organizzativo tipico delle strutture criminali che tende a distinguere le mansioni direttive da quelle più prettamente operative».

Infine, «il metodo mafioso che l’indagine ha cristallizzato è quello tipizzato dall’art. 416 bis del codice penale. Forza di intimidazione del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà sono i tre parametri necessari ed essenziali perché possa configurarsi il reato associativo mafioso. Il ricorso alla forza intimidatrice, promanante dal vincolo associativo, e la conseguente condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, costituisce l’elemento strumentale tipico di cui gli associati si avvalgono. Esemplificatamente, l’intimidazione e l’omertà costituiscono per gli associati il corredo dei loro “attrezzi di lavoro”, da estrinsecare all’occorrenza».

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