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CATANZARO – Intoccabili. Potenti. Vicini alla classe politica. Anzi, dentro le istituzioni e dentro la politica. Gli esponenti del clan Grande Aracri a Reggio Emilia erano i padroni di casa. Pronti a dettare legge. Ad intervenire su figure di primo piano.
Gli inquirenti hanno chiesto al l’allora sindaco Graziano Delrio chiarimenti circa l’incontro organizzato con il prefetto e alcuni consiglieri comunali eletti di Reggio Emilia di origine cutrese, che, in occasione di indagini sulla ndrangheta in Emilia e altri episodi, temevano una generalizzazione del giudizio negativo sulla comunità presente in città. La posizione dell’attuale sottosegretario è stata, poi, spiegata dal suo staff precisando che si trattava di un incontro di tipo strettamente istituzionale per lo svolgimento del quale non vi era stato alcun tipo di pressione. Sul punto il Movimento 5 Stelle ha rinnovato la richiesta di sollevare lo stesso Delrio dall’incarico di Governo chiedendo anche di fare i nomi dei consiglieri comunali che avrebbero chiesto l’intervento.
La mega operazione “Aemilia” che ha svelato il potere di Nicolino Grande Aracri in Emilia Romagna continua, dunque, a fare emergere aspetti inquietanti. Compreso la perquisizione nell’abitazione dell’ex calciatore e campione del mondo, Vincenzo Iaquinta, il cui padre è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta.
Intanto, spuntano nuove intercettazioni dei calabresi radicati in Emilia e pronti a gestire i traffici della ‘ndrangheta. In un caso, uno degli indagati, Vincenzo Mancuso, racconta l’incontro con dei napoletani ad Antonio Gualtieri, che è stato arrestato: «Poi scendono ‘sti quattro napoletani, prima un napoletano era sceso con lui. Gli ho detto sentite un pò, gli ho detto, qua cinque ne siete venuti, qua se ne vanno morte 50 persone, qua ora vedi, in questo momento, gli ho detto…in questo momento ne vanno via 50 morti…morti! Gli ho detto andate via, sparite da qua che non vi ho visto mai al mondo!. Ah qua ci stanno i conti han a pagà (in dialetto campano, ndr)…gli ho detto senti un pò, ma se noi no? Andiamo in giro per il mondo a cercare soldi no? Ora venite voi da noi…dove noi…dove noi, in casa nostra».
Ed ancora, gli spari esplosi tranquillamente per strada per fare vedere il proprio potere, oppure il dialogo tra Antonio Gualtieri e Nicolino Grande Aracri sulla disponibilità e l’utilizzo degli uomini.
Per quanto riguarda la vicenda Delrio, invece, i collaboratori evidenziano che lo stesso era stato sentito dalla Dda dell’Emilia Romagna nel 2012 insieme ad altri amministratori pubblici «come persona informata sui fatti, per capire in che considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità calabrese», come ha detto il procuratore capo Afonso lo scorso 28 gennaio. Quello era il contesto.
Dagli estratti del verbale emerge che Delrio sapesse che Grande Aracri fosse calabrese ma non che il boss delle ‘ndrine crotonesi presenti a Reggio Emilia abitasse in centro a Cutro, o in frazioni vicine. Così come risulta dai verbali che per Delrio la lotta alle mafie si fa «senza se e senza ma». I consiglieri comunali cutresi di Reggio Emilia – proseguono i collaboratori di Delrio – gli avevano chiesto di essere accompagnati dal prefetto De Miro, autrice delle interdittive antimafia per gli appalti, peraltro sostenute e varate dall’attuale sottosegretario quando era sindaco della città emiliana. La richiesta dei consiglieri cutresi a Delrio c’era stata anche in ragione del fatto che spesso scattava l’equazione di calabrese uguale «mafioso», un paragone su cui aveva espresso forte disagio la numerosa comunità cutrese di Reggio Emilia, concludono i collaboratori del sottosegretario.
Il Movimento 5 Stelle, però, non ci sta e annuncia battaglia per quella che definisce una «sottovalutazione e approssimazione politica» dell’ex sindaco di Reggio Emilia «nell’affrontare il cancro delle infiltrazioni mafiose».
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