Margherita Caruso sul set de “Il Vangelo secondo Matteo” con Pasolini
5 minuti per la letturaCROTONE – Pasolini continua a parlarci, cento anni dopo la nascita, e lo fa anche attraverso la voce della Madonna crotonese scelta per il suo capolavoro cinematografico del ’64, il “Vangelo secondo Matteo”. Margherita Caruso aveva 14 anni ma l’emozione per lei è ancora forte. Ancora la chiamano per testimoniare, e la prossima settimana interverrà a Bologna e Milano nel corso di alcuni degli eventi che celebrano lo scrittore, poeta e regista nato il 5 marzo 1922. La chiamano dappertutto, tranne che nella sua Crotone, da dove emigrò appena conseguito il diploma di perito chimico.
A Crotone e a Cutro, dove pure si girarono scene del film e furono scritturati attori, si fa poco per ricordare che su questi luoghi si è affacciato il grande cinema, ma questo è un altro discorso. Margherita Caruso oggi vive a Milano e nella sua terra d’origine torna soltanto d’estate; ha lavorato come tecnico di laboratorio nel reparto di Nefrologia dell’ospedale San Carlo, occupandosi di ricerca grazie anche alla «lungimiranza di un primario, Giuseppe D’Amico, Peppuccio come si faceva chiamare, che coinvolgeva i suoi collaboratori». Al cinema non ha più pensato, anche se le arrivò una «proposta seria» come quella di fare la nuora di Noè nella Bibbia di John Huston, film prodotto da Dino De Laurentis nel ’66. Ma andiamo con ordine.
Come fu notata da Pasolini e perché venne scelta per un ruolo così importante?
«Ero andata a messa come tutte le domeniche, con le mie sorelle e le amiche. C’era un ragazzo che mi fissava, al punto da mettermi in imbarazzo. Poi scoprii che era Ninetto Davoli. Cambiai posto per non farmi vedere, perché mi guardava con insistenza. Dopo un po’ mi sento bussare alle spalle. Ma non era Davoli. Era Pasolini. Era venuto per fare sopralluoghi per il film insieme all’attore che forse aveva proprio il compito di provocarmi per vedere come rispondevo, come mi esprimevo. “Mi conosci”. Io dico “no”. E lui: “sono Pierpaolo Pasolini, ti piacerebe fare un film?”. Sento dire “Uau” d’un colpo dalle persone che erano attorno a me. Poi lui, con la sua voce gentile, quasi angelica, aggiunge: “Si vede che sei molto giovane, verremo a casa tua, parleremo con i tuoi genitori”. Feci un provino a Roma, un altro a Matera, nelle grotte. Quando andai a casa sua ricordo che c’erano Elsa Morante e Dacia Maraini che gli fecero i complimenti per la scelta. Sono del ’50, avevo 14 anni, non sapevo nulla di cinema. Penso di essere stata notata per l’occhio fotogenico. Del resto, me lo diceva anche mio padre: “tu parli con gli occhi”. Parlare con lo sguardo in Calabria ci viene facile, ci sono cose che non diciamo e ci teniamo dentro, ma il corpo le esprime. Penso sia stata questa sensibilità a colpire Pasolini, anche perché io parlo poco nel film, parlo più che altro col linguaggio del corpo».
Com’era Pasolini sul set?
«Aveva una grande empatia. Lo percepivano tutti, anche le sarte, che dicevano “che fortuna lavorare con Pasolini, non con quelli che ti comandano e basta”. Cercava emozioni, espressività attraverso il non verbale, ed era sempre gentile e affabile. Ma una volta si incavolò. Dovevo fare la scena in cui dormo col Bambino ma le palpebre non mi si chiudevano per il nervosismo. Cercava di farmi calmare, ma in realtà doveva essere lui a calmarsi. A un certo punto mi lasciano lì, “tu dormi, noi andiamo”. Fui ripresa mentre dormivo veramente e molti ammirano questa scena per l’espressività. Ecco, a lui interessava l’espressività, e io non parlo quasi mai, soltanto una volta mi diede un foglio con due righe».
A Crotone ritorna?
«Ci torno soprattutto d’estate, per il mare. Ma preferisco vivere a Milano sia per le amicizie che per la vitalità culturale. Mi trovo bene in una città stimolante. Non mi sono sposata ma ho avuto le mie relazioni anche se non sono mai arrivata al matrimonio».
Al cinema ha più pensato?
«Ho avuto la proposta di Huston, una produzione De Laurentis, ma le foto me le fece mio padre alla villa comunale di Crotone, forse ci voleva il book di un professionista. Eppure non ho rammarico. Mio padre mi avrebbe dovuto accompagnare a Roma per i provini ma non lo fece. Veniva da una famiglia di dieci figli e mi disse che il primo film apriva e chiudeva le mie fantasie di ragazzina. Pur vivendo a Milano, poi, non ho mai frequentato scuole di recitazione. Ci pensavo proprio l’altra volta passando davanti a un teatro. Mi sono accontentata della mia vita e dello stipendio da perito chimico».
Ha rivisto Pasolini dopo il film?
«Dopo il diploma andai a Roma, gli telefonai e gli dissi che mi sarebbe piaciuto molto vederlo. Lui era un tipo disponibile, alla mano, anche se era un grande intellettuale, e nonostante i suoi impegni mi disse subito di sì. Poi, al termine dell’incontro, mi domandò: “Margherita, cosa sei venuta a chiedermi?”. Una frase che mi colpì molto. A me faceva soltanto piacere salutarlo».
Che emozioni prova quando rivede il film a distanza di tanti anni?
«Lo apprezzo ancora di più, dopo tanto tempo. Perché riesco a cogliere lo spessore del linguaggio corporeo, di quell’espressività che lui cercava. Lui era venuto qui per scegliere dei luoghi, delle tracce, in fondo l’incontro con me è stato casuale. Sono stata una persona fortunata, ma penso di aver saputo interpretare bene la mia parte se me lo riconoscono in tanti».
Cosa resta di Pasolini?
«Tutti ricordano l’intellettuale, lo scrittore, il regista, poi era anche pittore. Ma a me piace ricordare l’uomo. Un ateo che legge il Vangelo tutto d’un fiato e decide di farne un film è soprattutto una persona di grande sensibilità».
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