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La piazza di Brescello

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Prosciolti due ex sindaci di Brescello, in Emilia Romagna, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito la cosca Grande Aracri di Cutro


CUTRO – La gup distrettuale di Bologna Roberta Malavasi ha disposto il non luogo a procedere nei confronti di due ex sindaci di Brescello, Giuseppe Vezzani (in carica dal 2009 al 2014) e Marcello Coffrini (dal 2014 al 2016), accusati di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti della cosca, da tempo stanziata in Emilia, capeggiata da Francesco Grande Aracri, fratello di Nicolino, il boss ergastolano di Cutro.

Non regge l’accusa nei confronti dei due esponenti Pd, già ritenuti responsabili dello scioglimento (il primo in Emilia) per infiltrazioni mafiose del Comune per la continuità amministrativa dei loro mandati. Gli imputati, difesi dagli avvocati Valeria Miari, Alessio Fornaciari, Mario L’Insalata e Eleonora Ciliberti, erano presenti in aula quando sono stati dichiarati prosciolti. In una precedente udienza Coffrini aveva negato le accuse sostenendo che erano totalmente infondate e che avevano travolto la sua vita.

LE ACCUSE

I due dovevano difendersi da gravi rilievi penali, come quello di aver favorito la cosca cutrese non adottando iniziative di contrasto a fronte di abusi edilizi accertati e occupazioni demaniali. Ma anche consentendo l’affidamento di lavori pubblici a ditte del clan «in palese contrasto con il Codice degli Appalti pubblici e della procedura di selezione».

Assegnando immobili e incarichi e appoggiando pratiche amministrative in favore degli affiliati o di personaggi loro contigui. Nella serie di accuse, c’era anche la variante al Prg che consentì, previa distruzione di edifici preesistenti, la costruzione di un supermercato da parte della Gruppo L.B. Immobiliare srl che aveva tra gli amministratori Francesco Le Rose, cognato di Francesco Grande Aracri e condannato con quest’ultimo in via definitiva per estorsione

IL SISTEMA

Sempre secondo l’accusa, i due ex sindaci avrebbero contribuito a diffondere un’immagine di Francesco Grande Aracri e dei suoi accoliti quali «soggetti puliti e per bene da integrare nel contesto della vita civile, imprenditoriale e amministrativa del Comune di Brescello, negando esplicitamente e pubblicamente il problema della esistenza della ‘ndrangheta sul territorio o comunque minimizzando consapevolmente il problema, pur a fronte di provvedimenti definitivi di condanna, di provvedimenti di prevenzione e di sequestro antimafia e delle interdittive antimafia del prefetto di Reggio Emilia». Ciò al fine di «garantirsi, con tale sistematico agire, l’appoggio del bacino di elettori (non solo calabresi) controllati dal sodalizio ‘ndranghetistico emiliano». Un “sistema”, dunque, o presunto tale, quello per il quale la Dda di Bologna, rappresentata in aula dalla procuratrice aggiunta Beatrice Ronchi, chiedeva il processo.

ALTRI IMPUTATI

Altri nove imputati, tra i quali Salvatore Grande Aracri, figlio di Francesco, hanno patteggiato condanne fino a 18 mesi di reclusione. Prosegue col rito abbreviato il processo per Rosita Grande Aracri, l’altra figlia del boss di Brescello.

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