Intercettazioni eseguite nel corso dell'inchiesta
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Dall’inchiesta Grecale emerge un ruolo determinante delle donne coinvolte nell’organizzazione, erano incollerite con i pusher di Crotone per i mancati incassi del narcotraffico
CROTONE – Le più agguerrite, in caso di mancati incassi dello spaccio di droga, erano le mogli degli indagati arrestati nell’operazione Grecale, condotta dalla Squadra Mobile di Crotone e dalla Dda di Catanzaro contro un’organizzazione dedita al narcotraffico. Emerge da un gruppo di conversazioni intercettate dagli inquirenti subito dopo l’arresto di Francesco Macrì, ritenuto uno dei pusher più attivi. In seguito a quell’arresto, Salvatore Santoro, uno dei principali indagati, mette in risalto, a colloquio con le mogli del clan, la difficoltà a spacciare droga nel quartiere Fondo Gesù, base operativa dei traffici, per l’attenzione delle forze dell’ordine.
Una delle donne, in particolare, inveisce contro Santoro per il suo comportamento considerato superficiale, poiché Macrì era già sottoposto agli arresti domiciliari e non era stato opportuno coinvolgerlo nello spaccio gestito dall’organizzazione al cui vertice sarebbe Maurizio Valente, che da detenuto dirigeva la gang. Le donne, insomma, pretendono di ricavare denaro, a mo’ di stipendio, dalla vendita della droga, fonte di sostentamento del gruppo. E assumono un atteggiamento autoritario nei confronti di Santoro.
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CROTONE, DONNE E NARCOTRAFFICO: LE INTERCETTAZIONI
«Se tu fossi stato più intelligente», dice Silvana Crudo, moglie di Pasquale Trusciglio, a Santoro. I due informano anche Pamela Trusciglio, figlia di Silvana Crudo e moglie di Luciano Vaccaro, altro presunto componente dell’organizzazione criminale. Santoro spiega che sta diventando sempre più difficile “lavorare” ma la donna lamenta: “a me mi devi dare”. Il riferimento è al sostentamento delle famiglie coinvolte nell’organizzazione e quindi ai detenuti. Santoro tenta di giustificarsi e osserva che almeno lui è libero, mentre i soldi “vanno e vengono”. A quel punto Silvana Crudo rincara la dose delle accuse: «vengo a mangiare a casa tua?. Se tu non lavori il mangiare dove arriva».
IL “DOVERE”
Santoro assicura che ci sarà puntualità nel versare le quote dovute alla famiglia della donna. «Sto facendo il mio dovere. Secondo te voglio che i figli non mangiano?». Ma Pamela Trusciglio ricorda il ruolo di Santoro e anche di Michele Porto, deputati a gestire la piazza di spaccio in assenza dei capi carcerati. «Ci arriva il mangiare?». E poi l’osservazione critica secondo cui Santoro e Porto non si sarebbero limitati a spacciare la notte come facevano prima. Le invettive sono soprattutto nei confronti di Porto, additato come il responsabile degli eventi “negativi”. Santoro comunque evidenza la necessità di riorganizzare la “piazza” perché le case non sono più sicure e pensa a un appartamento da reperire in periferia per eludere i controlli. Non solo, ma sottolineava che se lo avessero arrestato gli inquirenti avrebbero associato la sua posizione a quella deli mariti delle donne. In ogni caso, annunciava fedeltà al suo entourage, evidenziando che Macrì non lo aveva accusato.
IL COINVOLGIMENTO
Secondo gli inquirenti, le donne sarebbero coinvolte nei traffici. Del resto, il riferimento a somme versate dall’organizzazione farebbe pensare alla consapevolezza dell’attività di spaccio. Ma, pur essendo tra i 78 indagati, non sono scattate misure cautelari nei loro confronti. Quelle ottenute dalla Dda guidata dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla, che ha coordinato l’inchiesta insieme ai sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, sono in tutto 49 (di cui 40 in carcere, 4 ai domiciliari e 5 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria). “Lavorare” sta per spacciare, nel gergo degli indagati. E “fare le notti” significa spacciare di notte.
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