Gli avvocati Salvatore Perri e Teresa Paladini
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Nel processo per il naufragio di Cutro la parola alla difesa degli scafisti: «Sulle imbarcazioni va solo la carne a perdere»
CROTONE – È stato il giorno della difesa nel processo a tre presunti scafisti sotto accusa per il naufragio avvenuto il 26 febbraio 2023 in una gelida alba a Steccato di Cutro, dove sono morti un centinaio di migranti. Come si ricorderà, in una precedente udienza il pm Pasquale Festa aveva chiesto condanne a 18 anni di reclusione e 4 milioni di multa per Hasab Hussein, il pakistano dichiaratosi inizialmente minorenne ma poi smascherato, 14 anni e 3 milioni per il connazionale Khalid Arslan, 11 anni e 2 milioni per il turco Sami Fuat.
NAUFRAGIO CUTRO, LA DIFESA DEGLI SCAFISTI: LE PAROLE DEL TURCO
L’avvocata Teresa Paladini, che assiste Fuat, ha chiesto una sentenza «equa e proporzionata» mettendo in discussione l’attendibilità delle dichiarazioni dei superstiti, sconvolti per la perdita dei loro cari, e il riconoscimento fotografico dell’imputato da un piccolo tatuaggio sul viso (in un caso smentita) e definendo come «laconici» i verbali di interrogatorio. Fuat è colui che, secondo l’accusa, giunse con la seconda imbarcazione, il caicco “Summer Love” poi naufragato, per trasbordare i migranti, dopo che la prima barca, quella denominata “Luxury 2”, aveva avuto un guasto al motore.
Per l’avvocata, Fuat era un “migrante” poiché aveva programmato di lasciare la Turchia, avendo ottenuto il 6 febbraio il rilascio del passaporto, anche se le autorità non gli avevano concesso il “visto” per precedenti di polizia e per la sua appartenenza all’etnia curda di cui era “orgoglioso”. «La sua speranza era quella di vivere di scrittura in Europa – ha detto l’avvocata – È uno scrittore, produciamo uno dei suoi romanzi che siamo riusciti a reperire, non è facile pubblicare libri che non siano allineati al potere in Turchia».
NAUFRAGIO CUTRO, LA DIFESA DEGLI SCAFISTI: LE PAROLE DEI PAKISTANI
L’avvocato Salvatore Perri, difensore dei due pakistani, ha preso le mosse dal riconoscimento, da parte del pm, del fatto che Hussein e Arslan «non sono scafisti». Circa il ruolo di “traduttori” dei pakistani, ha richiamato testimonianze di migranti secondo cui le informazioni circolavano in varie lingue all’interno della barca. Ha sottolineato che molti migranti sentiti escludevano i suoi assistiti da quanti avrebbero fatto parte dell’equipaggio. «Non ho mai visto carcerieri che si sedevano a mangiare con i migranti», ha protestato il legale, denunciando il rischio che «si debba per forza arrivare a condanne alla massima pena per accontentare qualcuno perché questo è il processo sul naufragio di Cutro».
«Ci aiutavano a comunicare con l’equipaggio perché sapevano parlare turco», ha sottolineato con particolare vigore il legale richiamando una delle testimonianze. «Il giorno di partenza stavano con noi sotto», ha detto ancora. L’avvocato ha poi messo in luce le difficoltà ma anche le stesse capacità degli interpreti nel cimentarsi con i vari dialetti. Hussein, il sedicente minorenne, era «un ragazzetto che lavorava in una fabbrica di calze e si era imbarcato per raggiungere i parenti». Circa i video e le chat che “inchiodano” i pakistani, il legale ricorda che un teste ha dichiarato che «non erano loro gli organizzatori del viaggio».
«Sulle imbarcazioni va solo la carne a perdere», ha evidenziato il difensore sottolineando che i suoi assistiti non fanno parte delle organizzazioni transnazionali che lucrano sulla disperazione dei migranti. C’è anche prova (con ricevuta di versamento ed estratto bancario) che Arslan ha pagato la sua quota. «L’ha pagata suo padre per dare al figlio una vita migliore in Europa, non una vita da carcerato. Avete l’audio in cui l’imputato chiede al padre di pagare perché sono ormai arrivati».
VIDEO TERRIBILE
In particolare, il legale ha evidenziato che Arslan ha salvato vite subito dopo l’affondamento. «Ho visto immagini terribili. Ma si vede anche che Arslan con le onde alte si butta in mare e soccorre i naufraghi». Insomma, per il legale i suoi assistiti non potevano opporsi ai capitani. I veri criminali, ha sostenuto, sono fuggiti all’estero e quindi usufruivano di appoggi logistici da parte dell’organizzazione.
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RITO ABBREVIATO
Intanto, nel parallelo processo col rito abbreviato, la Procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro ha chiesto la conferma della condanna per il presunto scafista turco Gun Ufuk, in primo grado condannato a 20 anni. Alla richiesta si sono associati gli avvocati di parte civile Gianfranco D’Ettoris, Salvatore Rossi, Roberto Stricagnoli, Barbara Ventura, Francesco Verri, Pietro Vitale. L’imputato ha reso dichiarazioni spontanee lamentando i mancati soccorsi.
A riscontro, il difensore, l’avvocato Salvatore Falcone, ha chiesto la riapertura dell’istruttoria producendo l’informativa dell’inchiesta sui mancati soccorsi, che vede imputati sei pubblici ufficiali (quattro militari della Guardia di finanza e due delle Capitanerie di porto). I giudici si sono riservati sull’acquisizione. Ufuk non è l’unico imputato che ha scelto il rito abbreviato fra quanti sono accusati di aver provocato l’affondamento del caicco Summer Love davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro. Vent’anni, sempre in primo grado, sono stati inflitti anche al siriano Mohamed Abdessalem, presunto timoniere dell’imbarcazione, rintracciato successivamente (sentenza già impugnata dall’avvocata Vincenza Raganato).
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