La piscina olimpionica di Crotone
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CROTONE – Cinque assoluzioni e due condanne nel processo per presunte irregolarità nell’affidamento della piscina comunale di Crotone. E le accuse di abuso d’ufficio sono cadute per la parte politica perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato mentre sono state riqualificate in peculato per distrazione per i dirigenti del Comune imputati.
LE ASSOLUZIONI
In particolare, il Tribunale penale, accogliendo molti dei rilievi difensivi, ha assolto, dalle accuse di turbativa d’asta perché il fatto non sussiste e da quelle di abuso d’ufficio, perché il reato è stato abrogato, l’ex sindaco Vincenzo Pugliese, l’ex assessore allo Sport e membro del consorzio sportivo Daippo Giuseppe Frisenda, l’ex presidente del Consorzio e funzionario comunale Emilio Ape, l’ex delegato provinciale del Coni Daniele Paonessa, dipendente dell’impianto e amministratore della piscina per conto del Consorzio, l’ex assessore all’Impiantistica sportiva Salvatore De Luca.
LE CONDANNE
Il collegio giudicante presieduto da Elvezia Cordasco ha condannato l’ex dirigente dell’area tecnica del Comune Gianfranco de Martino a 4 anni e 10 mesi e il suo successore Giuseppe Germinara a 1 anno e 9 mesi.
Ai dirigenti erano state mosse anche accuse di falso ideologico per la liquidazione di un centinaio di fatture dell’energia elettrica dell’impianto natatorio e di quelle del gas. Sarebbe stato attestato falsamente che le spese dei consumi erano già state impegnate sui capitoli di bilancio. Accolte soltanto in parte le richieste del pm Alessandro Rho che, in seguito all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, aveva sollecitato per tutti la riqualificazione in peculato per distrazione.
Al termine della requisitoria il pm aveva chiesto 5 anni e 8 mesi per De Martino, 3 anni per Germinara, 1 anno e 9 mesi per Frisenda, 1 anno e 6 mesi a testa per Pugliese e De Luca, 1 anno e 2 mesi per Paonessa, l’assoluzione per il solo Ape.
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L’INCHIESTA
L’inchiesta portò al commissariamento del Comune in seguito alle dimissioni dell’ex sindaco Ugo Pugliese, che aveva lasciato la carica per evitare una misura cautelare. L’indagine, iniziata nel 2018 dalla Digos della Questura, ha ricostruito l’iter procedimentale per l’affidamento e la gestione della piscina comunale al consorzio Daippo tramite trattative, secondo l’accusa, clandestine, volte a pianificare il riaffidamento diretto nonostante nella precedente gestione quinquennale fosse maturata la morosità di oltre un milione e 200mila euro.
Il pm Rho aveva parlato di «abnorme conflitto di interessi» per il fatto che stretti congiunti dell’assessore Frisenda erano dipendenti dell’impianto e perché, avendo finanziato di tasca sua il pallone geodetico, era «fidejussore con patrimonio personale».
LE ACCUSE
Abuso d’ufficio era l’accusa contestata a Pugliese, De Martino, Germinara e Frisenda. In violazione del regolamento comunale sull’uso degli impianti sportivi che vieta il rinnovo tacito e pone a carico dei concessionari le spese delle utenze, avrebbero, sine titulo, affidato la struttura per cinque anni allo stesso consorzio. L’ingiusto vantaggio? La gestione remunerata dall’incasso delle tariffe versate dai fruitori e il risparmio di spesa per la mancata corresponsione dei costi fissi, lievitata a un milione 264mila euro, tant’è che si è proceduto anche per danno erariale (ma sono stati condannati soltanto Ape e De Martino). Di turbativa d’asta rispondevano Frisenda, Paonessa, De Luca, Pugliese, Ape per l’«accordo collusivo» teso a «condizionare le modalità di scelta del contraente».
Sotto la lente la determina dirigenziale con cui si affidava in modo diretto la gestione della piscina al Consorzio e la relativa convenzione, stipulata nella stessa data. Nessun bando, in violazione, sempre per l’accusa, del decreto legislativo 50/16, che impone la procedura ad evidenza pubblica.
LA DIFESA
La difesa ha sempre sostenuto che le trattative per l’affidamento erano state trasparenti, alla luce del sole e oggetto di tavoli tecnici per garantire l’apertura dell’impianto anche a fronte di stagioni agonistiche da serie A. Temi ripresi dagli avvocati Maria Vincenza Corigliano, Alberto Laratta, Francesco Laratta, Luigi Morrone, Nicola Rendace, Leo Sulla, Francesco Verri.
«La turbativa d’asta (tecnicamente: turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) non era reato, nei casi di affidamento diretto, già nel 2018, quando furono assunte le delibere contestate – ha detto l’avvocato Verri al Quotidiano – Quell’orientamento si è poi consolidato ancora e quindi il Tribunale ha assolto tutti gli imputati nonostante il pubblico ministero abbia insistito anche oggi per la condanna. Sull’altro reato, l’abuso d’ufficio, quest’estate è caduta la scure dell’ abrogazione. Ma la Corte dei Conti – ha aggiunto il legale – aveva già escluso il danno del Comune e dunque, a mio giudizio, il fatto non solo non è più previsto dalla legge come reato ma non sussiste. Naturalmente, la soddisfazione è massima».
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