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Il luogo della tragedia

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Depositate le motivazioni della condanna per il timoniere del naufragio di Cutro. Per il gup inverosimile l’autodifesa


CROTONE – A lui si deve la «manovra pericolosa che ha determinato il disastro». Lo scrive la gup Assunta Palumbo, richiamando la perizia dell’ammiraglio in pensione Salvatore Carannante, nel motivare la condanna a 20 anni di reclusione e tre milioni di multa inflitta al siriano Mohamed Abdessalem, che, secondo le testimonianze di sette migranti, è stato il timoniere dell’imbarcazione “Summer Love” naufragata a Steccato di Cutro, dove, nel febbraio 2023, sono morti 100 migranti. Nella sentenza, appena depositata, si sottolinea che il consulente tecnico che ha ricostruito la dinamica della tragedia ha evidenziato che già il tentativo di dirigersi verso la spiaggia di Steccato, a causa delle avverse condizioni meteorologiche e di una risacca nel fondale, costituiva una «manovra particolarmente pericolosa».

La decisione di cambiare la rotta e di posticipare di un giorno lo sbarco era stata presa dagli scafisti. Nonostante le proteste dei migranti stipati nella pancia del caicco, per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine. Insospettito dalle luci dei pescatori che avrebbe scambiato per militari, giunto a circa 50 metri dalla battigia, l’imputato «decideva di invertire pericolosamente la rotta e riprendere il largo ma, anche a causa della risacca, non riusciva a raddrizzarsi e navigava per un breve tratto». L’imbarcazione, a quel punto, «in balìa delle onde e della risacca, si schiantava sul fondale basso».

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NAUFRAGIO CUTRO, LA CONDANNA DEL TIMONIERE: L’ACCUSA

Accolta in toto, dunque, la ricostruzione del pm Pasquale Festa. Ricostruzione che si basava anche e soprattutto sulle testimonianze dei migranti che hanno riconosciuto l’imputato come colui che conduceva sia la prima imbarcazione, “Luxury 2”, che la seconda, “Summer Love”. Sarebbe stato lui a tentare di riparare il motore della prima imbarcazione che, sempre secondo le testimonianze, smontò rapidamente, e poi a contattare i trafficanti perché reperissero una seconda imbarcazione. Ovvero il malandato caicco andato in frantumi in quella tragica alba.

I giudici hanno condannato Abdessalem anche a risarcire i familiari delle vittime costituite parte civile, assistite dagli avvocati Salvatore Rossi, Roberto Stricagnoli, Barbara Ventura, Pietro Vitale, e la Presidenza del Consiglio dei ministri.

NAUFRAGIO CUTRO, LA CONDANNA DEL TIMONIERE: IL PROCESSO

L’imputato, che ha scelto il rito abbreviato, in udienza ha ammesso di aver preso parte a diversi viaggi della speranza per evitare il servizio militare e sfuggire alle guerre oltre che per motivi economici, al fine di aiutare la sua famiglia che vive in condizioni di miseria e il padre che ha problemi di salute. In Italia avrebbe chiesto asilo politico per rientrare in Turchia. Ma, a suo dire, non sarebbe riuscito a varcare i confini della Turchia per raggiungere la Siria.  Una volta bloccato in Turchia, avrebbe ricevuto varie proposte per condurre imbarcazioni di trafficanti ma avrebbe accettato soltanto dopo il disastroso terremoto del 6 febbraio 2023.

Per il suo ruolo che la difesa ritiene marginale, l’avvocata Vincenza Raganato aveva chiesto una condanna a una pena meno severa. Ma per la Procura il contributo di Abdessalem all’equipaggio è centrale, perché l’uomo, appunto, era al timone sia della prima che della seconda imbarcazione con cui i migranti hanno compiuto la tragica traversata e a lui si deve, secondo quanto riferisce un migrante, l’incauta manovra che ha portato allo schianto contro quella maledetta secca. «È tutta colpa sua», ha detto un superstite.

NAUFRAGIO CUTRO, LA CONDANNA DEL TIMONIERE: IL RICONOSCIMENTO

Nella valutazione del materiale probatorio, sono soprattutto le dichiarazioni dei migranti ad essere valorizzate dalla giudice, non tanto il fatto che l’imputato abbia ammesso «il proprio contributo», peraltro diversi mesi dopo la notifica di un’ordinanza di custodia cautelare. Abdessalem era stato arrestato nel dicembre scorso con le accuse di naufragio colposo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza di altro reato dopo essere stato riconosciuto da alcuni dei sopravvissuti al massacro, grazie alle immagini estrapolate da telefoni cellulari. Quell’uomo in cabina, seduto nella plancia di comando col viso rivolto verso il basso, era lo stesso effigiato nei cartellini di riconoscimento mostrati dagli inquirenti. E non risultava né tra i sopravvissuti né tra le vittime del naufragio.

COLLABORATORE DI GIUSTIZIA

A lui si è arrivati grazie alla collaborazione di un detenuto del carcere di Lecce, dove Abdessalem si trovava perché accusato di far parte di un’organizzazione dedita al traffico di migranti smantellata con l’operazione Astrolabio. Là gli giunse la notifica del provvedimento restrittivo. L’uomo, dopo aver ottenuto garanzie sulla sua sicurezza, riferì agli inquirenti che uno degli scafisti, di nazionalità siriana, era riuscito a scappare in Germania dopo il naufragio di Cutro. Era stato poi arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e quindi estradato e ristretto proprio in quel penitenziario. Coincideva tutto, perché le autorità tedesche avevano consegnato Abdessalem il 5 aprile alle autorità italiane presso l’aeroporto di Fiumicino.

VERSIONE INVEROSIMILE

Quanto alle dichiarazioni spontanee, la versione offerta dall’imputato è ritenuta «assolutamente inverosimile e priva di qualsivoglia fondamento in termini fattuali oltre che contraddittoria». La giudice non crede all’imputato che asserisce di essere fuggito da guerre e massacri, tanto più che emerge dalle intercettazioni eseguite dalla Dda di Lecce che era uno scafista dedito al traffico di migranti e che intascava compensi di diecimila euro per ogni viaggio.

Di «ruolo attivo» nella tragica traversata terminata col naufragio di Cutro si può parlare, secondo la giudice, perché conduce le imbarcazioni, aiuta i componenti dell’equipaggio, fa da intermediario con i migranti, pattuisce compensi per il suo apporto e, «per sua stessa ammissione», contatta l’organizzazione quando si rende conto che il motore non può essere riparato ed è necessaria un’altra barca. Inoltre, nelle sue dichiarazioni Abdessalem utilizza il “noi”. Un plurale che è «sintomo di condivisione del programma e delle scelte con gli altri membri dell’equipaggio».

GLI ALTRI IMPUTATI

Un altro presunto scafista che era fuggito all’estero è quello che fu individuato in Austria. Si tratta di Gun Ufuk, già condannato a 20 anni anche lui col rito abbreviato. Ufuk e Abdessalem si aggiungono ad altri tre imputati fermati nell’immediatezza: il turco, Sami Fuat, ritenuto il capitano, e due facilitatori pakistani, Khalid Arslan, e Ishaq Hassnan (dichiaratosi inizialmente minorenne ma poi smascherato), per i quali pende il processo col rito ordinario. Un sesto componente dell’equipaggio è morto nel tragico sbarco. Si procede a parte per il livello istituzionale. Per i sei ufficiali di Guardia di finanza e Guardia costiera accusati di omissioni nei soccorsi il pm Festa potrebbe presto chiedere il rinvio a giudizio.

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