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L'auto carbonizzata su cui viaggiava la vittima

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Le motivazioni della sentenza per cui il presunto killer è stato assolto per un caso di lupara bianca a Petilia Policastro

PETILIA POLICASTRO – «No, non sono le cose che ho detto io». Il teste chiave, quello che aveva udito i colpi e poi era scappato, in aula ha negato tutto, “sterilizzando” quanto aveva già dichiarato in fase di indagine. È uno dei motivi per cui la Corte d’Assise di Catanzaro ha assolto Pierluigi Ierardi, indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio di Massimo Vona, l’allevatore scomparso nel nulla nell’ottobre 2018, il cui corpo non fu mai ritrovato mentre la sua auto fu rinvenuta carbonizzata. Il pm Pasquale Mandolfino aveva chiesto una condanna all’ergastolo ma i giudici hanno accolto la richiesta dell’avvocato Pietro Pitari.

Nonostante la «ricostruzione logica e lineare» proposta in aula dai carabinieri della Compagnia di Petilia Policastro, che condussero le indagini. Nonostante la “credibilità” dei collaboratori di giustizia che hanno ripercorso il contesto mafioso. E nonostante l’imputato sia «certamente» tra gli ultimi ad aver incontrato Vona in vita. Ma la ricaduta sull’esito istruttorio delle dichiarazioni di quel teste, smentito su una circostanza pure dall’imputato, è stata tale da non poter affermare con la «dovuta certezza» la responsabilità di Ierardi.

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NESSUN MANDANTE

Nel filone processuale svoltosi col rito abbreviato, il presunto mandante Rosario Curcio è stato peraltro assolto per l’omicidio ma condannato a 8 anni per associazione mafiosa anche in Appello. Il processo scaturisce dall’inchiesta che nel gennaio 2021 portò all’operazione Eleo, condotta dalla Dda di Catanzaro contro i nuovi assetti della cosca di Petilia Policastro, di cui Curcio era ritenuto il reggente. Ierardi ha scelto il rito ordinario e nel filone dell’associazione mafiosa è stato condannato a 12 anni e 6 mesi in Appello.

LA CITAZIONE DEL FILM DI SERGIO LEONE

Tra gli elementi che lo avevano messo nei guai, la frase «quando l’uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto», che avrebbe pronunciato durante una conversazione intercettata. La citazione da “Per un pugno di dollari”, film cult di Sergio Leone, l’avrebbe fatta durante un colloquio in cui qualcuno gli faceva presente che il fratello della vittima era pronto a scatenare un «uragano». Secondo l’accusa, Ierardi avrebbe lasciato chiaramente intendere di essere pronto a reagire ad un’azione di vendetta, avendo la disponibilità di un fucile con il quale, in un eventuale scontro a fuoco, avrebbe avuto la meglio. In un’altra intercettazione, infatti, parla di un fucile da prelevare in un furgone. Ma l’avvocato Pitari ha fatto presente che non c’è neanche prova che Vona sia stato assassinato a colpi di fucile. Quelle intercettazioni provano per i giudici soltanto una disponibilità di armi.

LUPARA BIANCA A PETILIA, VONA ERA UN UOMO SCOMODO

La Corte presieduta da Massimo Forciniti non ha dubbi che la scomparsa di Vona rientri nei canoni della “lupara bianca”. Secondo l’accusa, Vona era un uomo scomodo perché osava ostacolare i propositi criminali del clan, nonostante i chiari avvertimenti ricevuti nel 2005 (con il furto di 500 pecore) e quello più recente nel 2016 (l’incendio del capannone). Per questo, sempre secondo l’accusa, Ierardi, su mandato di Curcio, avrebbe allacciato i rapporti con la vittima dall’estate 2018, conquistandone la fiducia, con il fine di eliminarla. Vona, detto “Malu tiampu”, era un tipo non incline a piegarsi, e rischiava col suo atteggiamento di pregiudicare la supremazia della cosca nel territorio di riferimento.

Per esempio, era sua ferma intenzione individuare ed affrontare i responsabili dell’incendio del capannone, in seguito al quale morirono 90 caprini, nonostante fosse un atto di ritorsione del clan. Inoltre, Curcio pare volesse allontanare un’amica di Vona dalla mensa scolastica, senza tuttavia riuscirci proprio per l’intervento di Vona nei confronti dei titolari dell’impresa affidataria del servizio. Da qui, sempre secondo l’accusa che continua a non reggere, la decisione di eliminarlo poiché, nonostante i vari avvertimenti, non aveva mutato la sua condotta, così sfidando la sanguinaria consorteria; anche se non era un “mafioso”, come afferma il pentito Domenico Iaquinta (al massimo «’nu mezzu ‘ntricato»).

L’IMPREVISTO

Entrerebbe in gioco, dunque, Ierardi che promette a Vona di portare al suo cospetto i responsabili dell’incendio del capannone, e lo invita presso la sua azienda agricola nella località Scardiato. Il pomeriggio del 30 ottobre 2018, Vona si presenta al cancello con un’altra persona e riceve un regalo: due conigli.
Un imprevisto, secondo i piani di Ierardi, la presenza dell’altra persona che attende in un secondo momento che Vona torni da solo, dopo aver portato i conigli dal suocero. Vona sarà ammazzato qualche minuto dopo essere entrato in azienda e l’altra persona che era con lui, che lo stesso Vona aveva fatto scendere prima a debita distanza, udì i colpi e fuggì a piedi sino al bivio nella località Pantano. In aula, però, il teste ha negato, tanto che il pm lo ha ritenuto inutilizzabile. Ma proprio l’espunzione dall’orizzonte probatorio di quella testimonianza, in ordine alla quale sono stati trasmessi gli atti al pm, si è riverberata sull’esito del processo.

I CONIGLI

Il teste chiave si chiama Gerardo Minnelli. Era stato con la vittima il giorno in cui Vona scomparve nel nulla. Vona andò a prenderlo a casa. I due consumarono un caffè in un bar. Usciti, si recarono presso una fontana per attingere acqua da portare a un collaboratore di Vona. Minnelli fu poi lasciato a casa da Vona. I conigli? Erano a bordo dell’auto quando Vona si recò a casa a prenderlo, ha detto Minnelli in aula. Li avrebbero poi consegnati al suocero della vittima, quindi avrebbero consumato un caffè in un bar e lui sarebbe rientrato a casa. Ha pensato che i consigli provenissero dall’azienda che Vona conduceva.

Eppure in fase di indagine l’uomo affermò che, usciti dal bar, lui e Vona si diressero verso la località Paparda, in campagna, in direzione dell’azienda di un certo “Piero”. Qui Vona «si è incontrato con una persona che non ho visto e dalla quale ha ricevuto due conigli». Il teste ha, dunque, smentito se stesso negando tale ricostruzione: «i conigli li aveva già in macchina, nel cofano». Minnelli ha negato pure che si avvicinò una terza persona mentre attingevano l’acqua, contrariamente a quanto da lui dichiarato agli inquirenti.

«Categorica e ripetuta», osservano i giudici, era la smentita di ulteriori circostanze, anche dopo la lettura in aula delle dichiarazioni fatte in sede investigativa. «Fermata la macchina, si dirigeva verso l’azienda di Piero. Dopo pochi minuti sentivo l’esplosione di colpi di arma da fuoco che ritengo fossero di pistola, quindi spaventato sono scappato lungo la strada principale per arrivare al bivio di Pagliarelle dove mi fermavo e trovavo un passaggio». Anche colui che gli diede il passaggio ha confermato. Perfino Ierardi ha ammesso di aver regalato i conigli a Vona dopo che questi era andato nella sua azienda per acquistare un vitello anche se non si raggiunse l’accordo sul prezzo.

LUPARA BIANCA A PETILIA, LA PREMONIZIONE

Agli atti dell’inchiesta c’è perfino la premonizione di Vona, che sapeva di essere finito nel mirino del clan. Lo disse a un carabiniere che in aula ha confermato tutto. «Avete visto cosa hanno fatto a Romano? Come mai voi carabinieri non fate nulla? Dormite?». Il riferimento era all’omicidio di Romano Scalise, ucciso con tre colpi di fucile l’8 luglio 2007 mentre si dirigeva a Steccato di Cutro a bordo di un ciclomotore con le buste della spesa.

«Mi è giunta voce che il prossimo che dovranno ammazzare sono io. Sono il primo della lista. Voi lo sapete che quanto è su quella lista nessuno lo può cancellare. Mi hanno mandato uno per chiedermi di fare pace. Ma come posso fare pace dopo che mi hanno rubato 500 pecore? Come faccio a fidarmi di questa gente? Certamente non sono come Romano che va in giro sullo scooter lontano da Petilia. Non mi muovo per diventare un bersaglio facile. Se mi vogliono ammazzare sanno dove trovarmi. Vado solo al mio allevamento e poi giro per Petilia. O sto a casa».

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