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Mimmo Lucano a Crotone manifesta a sostegno di Maysoon

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Crotone, svolta al processo contro Maysoon: il teste chiave nega tutto. La difesa reitera l’istanza di scarcerazione


CROTONE – «Ha negato tutto». L’avvocato Giancarlo Liberati, difensore di Maysoon Majidi, l’attivista iraniana sotto processo a Crotone con l’accusa di aver avuto un ruolo nello sbarco di migranti del 31 dicembre scorso, commenta così la deposizione di un mediatore dell’agenzia Frontex sentito in aula a porte chiuse. Si tratta di un teste chiave. Il motivo per cui lo hanno interrogato a porte chiuse è legato a un’inchiesta parallela su un’organizzazione transnazionale dedita ai traffici lungo la rotta dell’Egeo, su cui indaga la Dda di Catanzaro. La sua testimonianza era stata richiamata anche nelle deposizioni dei finanzieri sentiti in una precedente udienza. Nell’immediatezza dello sbarco, alcuni fuggitivi erano stati bloccati nella pineta nella località Gabella e accompagnati al porto.

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Qui un migrante riferì a un mediatore culturale dell’agenzia Frontex di aver riconosciuto il capitano, Akturk Ufuk, e Maysoon Majidi, definita come sua “aiutante”. Ma il teste in aula non si è riconosciuto nelle affermazioni attribuitegli dagli inquirenti, sostenendo di non aver firmato nulla. A margine dell’udienza, l’avvocato Liberati sostiene che «sono emerse circostanze gravi che se appurate potrebbero portare all’affermazione della totale estraneità della mia assistita. Si tratta di circostanze che gettano dubbi sulle modalità con cui gli inquirenti hanno raccolto le dichiarazioni a carico di Maysoon Majidi».

MAYSOON, IL TESTE CHIAVE NEGA: L’AVVOCATO REITERA L’ISTANZA DI SCARCERAZIONE

Proprio alla luce di quanto emerso dall’udienza, l’avvocato Liberati ha reiterato l’istanza si sostituzione della misura cautelare in carcere con quella domiciliare  e stavolta il Tribunale penale presieduto da Edoardo D’Ambrosio, che nelle due precedenti udienze le aveva respinte, si è riservato di decidere entro cinque giorni.

Tra gli altri, hanno sentito l’ingegnere Fausto Colosimo, consulente della Procura, che ha rilevato che il cellulare di Majidi era sempre acceso anche se mai utilizzato ma ha continuato a ricevere chiamate durante la traversata. L’avvocato però gli ha chiesto se si trattava di chiamate via whatsapp. Risposta positiva. La tesi difensiva è che il cellulare era spento come quello dei migranti. «Faccia la prova, se il telefono è spento le chiamate via whatsapp partono lo stesso».

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