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L'attivista iraniana Maysoon Majidi in aula a Crotone

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Crotone, al via il processo per l’attivista iraniana Maysoon Majidi: «Nelle foto si vede che ero con gli altri migranti», ma resta in carcere


CROTONE – È scoppiata in lacrime Maysoon Majidi, l’attivista iraniana accusata di essere una scafista, quando ha capito che dovrà trascorrere anche il giorno del suo 28esimo compleanno in carcere. Il Tribunale penale di Crotone ha respinto l’ennesima istanza di sostituzione della misura cautelare alla quale è sottoposta con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari che il suo difensore, l’avvocato Giancarlo Liberati, ha avanzato nel corso della prima udienza del processo col giudizio immediato.

«Auspico che prima del 29 luglio (data in cui compirà gli anni, ndr) la mia assistita possa “festeggiare”, per modo di dire, ai domiciliari. Dopo sette mesi non ci sono, a mio avviso, esigenze di preclusione, considerate anche le sue condizioni psico-fisiche. Come vedete, pesa meno di 40 chili». Il collegio presieduto da Edoardo D’Ambrosio, però, dopo una lunga camera di consiglio, e considerato anche il parere negativo della pm Rosaria Multari, ha respinto la richiesta difensiva ritenendo che non sia superata la «presunzione di inadeguatezza» di una detenzione provvisoria presso un’abitazione messa a disposizione dall’associazione Sabir.

LE FOTO DELL’ATTIVISTA IRANIANA MAYSOON MAJIDI IN CARCERE A CROTONE

A quel punto quello scricciolo in lacrime ha chiesto di poter mostrare ai giudici le foto che a suo dire la scagionano. «Perché non credete alle mie parole? Queste foto non sono del 31 ma del video precedente. Quella persona seduta vicino al capitano non sono io, perché io ero con mio fratello sotto coperta, per tre giorni sono rimasta sotto con mio fratello», ha detto l’imputata con l’ausilio dell’interprete Pega Moshir Pur, la nota attivista per i diritti umani italo-iraniana. La pm Multari però non crede alla versione di Majidi. Secondo l’accusa, non c’è certezza della provenienza e della data di registrazione del cliccatissimo video su Instagram prodotto dalla difesa. Un video che documenta che l’attivista era sopra coperta insieme ai migranti. «Sono dei collage di foto e video vari fatti da un giornalista», ha obiettato l’avvocato Liberati.

GLI IRREPERIBILI CHE POTREBBERO SCAGIONARE L’ATTIVISTA IRANIANA MAYSOON MAJIDI ARRESTATA A CROTONE

Dopo che il difensore ha rinunciato a chiedere la traduzione in farsi, lingua ufficiale dell’Iran, degli atti, perché il processo sia spedito, si  è aperto il dibattimento con l’ammissione della lista testi del pm, composta da ufficiali di polizia giudiziaria ma anche dai due irreperibili che non è stato possibile sentire nel corso dell’incidente probatorio ma che potrebbero scagionare l’attivista iraniana arrestata a Crotone. La difesa, che pure aveva fornito nelle istanze depositate il numero di cellulare di uno di loro, ospite di un Centro per migranti gestito dallo Stato tedesco, ha auspicato che li rintracci la Procura altrimenti si farà «parte diligente» perché intende citarli.

Hasan Hosenadze, che era a bordo della barca con 76 migranti approdata a Crotone il 31 dicembre scorso, in particolare, era talmente “irreperibile” da venire rintracciato dalle “Iene” nella trasmissione televisiva andata in onda lo scorso 21 maggio, quando ha affermato che Majidi era solo una passeggera. Anche l’altro teste, a quanto pare, ritratta.

LE DICHIARAZIONI DI MAYSOON MAJIDI ORA IN CARCERE A CROTONE

Il processo per l’attivista iraniana è entrato subito nel vivo con dichiarazioni spontanee dell’imputata. «Il 26 dicembre ci siamo avviati con i camion, dopo 11 ore siamo arrivati e non sono neanche sicura che fosse il porto di Izmir. Il 27 io e gli altri veniamo perquisiti da una donna e ritirano il cellulare. Io e mio fratello insieme agli altri restiamo sotto. Avevo il ciclo e volevo andare su e per questo litigo con quella donna. Dico alla donna e alle persone presenti che in Italia li avrei denunciati perché ci detenevano tutti.

È stata la scintilla che ha fatto scattare qualcosa creando un’immagine di me come colei che li avrebbe incolpati. Ci hanno fatto salire sopra quando secondo loro non c’era più pericolo di essere scoperti e ci hanno ridati i cellulari, dopo tre giorni. Soltanto allora ho fatto un video per mostrare ai miei familiari che eravamo giunti ed eravamo salvi. Gli scafisti non pagano per il viaggio. Io addosso avevo solo 150 euro, avevo pagato come gli altri per una nuova vita in Italia e in Europa».

IL CALENDARIO DI UDIENZA E LA DELUSIONE

Serrato il calendario, che prevede udienze il 18  settembre, il primo ottobre, il 22 ottobre, data in cui è previsto l’esame dell’imputata, e il 5 novembre, data della possibile sentenza.
«Siamo delusi, Majidi è particolarmente provata e lo sarà ancora di più dopo il nuovo rigetto. Ma i giudici non hanno ancora cognizione del fascicolo processuale e non avevamo molte speranze che l’istanza di sostituzione della misura in carcere con quella domiciliare venisse accolta. La possibilità di fuga è remotissima, Majidi non ha peraltro mezzi economici per allontanarsi dall’Italia e vuole restare nel nostro Paese finché non sarà assolta. Emergerà con chiarezza l’innocenza di Majidi perché conosco nel dettaglio la sua storia», ha detto l’avvocato Liberati al termine dell’udienza.

Il SIT IN

L’udienza è stata preceduta da un sit-in a cui hanno partecipato una ventina di attivisti. Fra loro il consigliere regionale Ferdinando Laghi, che ha assistito all’udienza e che ha visitato Majidi in carcere, prima a Castrovillari e poi a Reggio Calabria. «Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, anche se l’accusa pare fondata su dichiarazioni di testi sentiti non nella loro lingua che pure ritrattano – dice Laghi al Quotidiano – Entro nel merito del lato umano, e da medico dicono che sono preoccupato per il mancato accoglimento della richiesta di un sostegno psicologico per il quale è fondamentale che vi sia un medico di fiducia».

IL CAPITANO

Ha scelto il rito abbreviato il coimputato turco Ufuk Akturk, 35enne, considerato il capitano dell’imbarcazione. Akturk  ammette di essere stato il comandante. Per lui il processo si farà il prossimo 24 settembre. Lo difende l’avvocato Salvatore Falcone. Il pericolo di fuga a carico di Majiidi è desunto, dall’accusa, dal fatto che avrebbe già tentato di allontanarsi, subito dopo lo sbarco, insieme al coimputato e potrebbe eludere l’eventuale detenzione domiciliare per raggiungere la Germania dove si trovano i suoi familiari. La pm ha rilevato una serie di contraddizioni nel racconto della donna che, per esempio, ha affermato di aver conosciuto il capitano dell’imbarcazione a bordo ma nella memoria del suo telefono ci sono due numeri di lei (che dichiara di averne dato uno). Ma Akturk “scagiona” la donna sostenendo che era una migrante come gli altri.

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