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Cutro, le motivazioni della condanna a 12 anni per l’imprenditore lametino Pasquale Barberio: pilota d’auto e «consigliori» del boss
CUTRO – «Oltre che tra i consigliori del boss, è dato iscrivere Pasquale Barberio tra quanti ne curavano (anche nei periodi di carcerazione) investimenti di introiti illeciti e, quindi, il conseguente riciclaggio»: è uno dei passaggi più significativi delle motivazioni della sentenza (appena depositate) a carico di Pasquale Barberio, l’imprenditore lametino ed ex corridore di auto condannato a 12 anni di reclusione per aver fatto parte della cosca capeggiata dal capocrimine ergastolano Grande Aracri.
La condanna inflitta dal Tribunale penale di Crotone va oltre la richiesta del pm antimafia Domenico Guarascio, che aveva proposto dieci anni previa derubricazione dell’accusa di associazione mafiosa in concorso esterno. Barberio, imputato nel filone del processo Farma Business celebratosi col rito ordinario, è ritenuto dalla Dda di Catanzaro un terminale economico del clan cutrese, in quanto avrebbe attuato investimenti per assicurare il controllo della cosca sul villaggio turistico Porto Kaleo utilizzando società ad hoc – quali Camelia srl – in collaborazione con l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello di Nicolino, il capo crimine ergastolano.
BARBERIO “CONSIGLIORI” DEL BOSS: INTIMITÀ NELLA TAVERNETTA
Dalla lunga serie di intercettazioni emerge, secondo il collegio presieduto da Michele Ciociola, che Grande Aracri e Barberio si incontravano «abitualmente in più frangenti presso la (famigerata, ndr) tavernetta del primo». Inoltre, «i toni delle conversazioni tradiscono un’intimità tra i propalanti ed una posizione quasi paritaria, comunque differente da quella di un affiliato qualunque». I due, come illustrato dai collaboratori di giustizia Salvatore Cortese e Giuseppe Liperoti, «intrattengono rapporti ben prima della vicenda Porto Kaleo essendosi messo il secondo a disposizione della cosca sin dalla precedente esperienza della costituzione del polo industriale di Cutro». Il boss avrebbe pertanto «fatto tesoro delle capacità imprenditoriali del primo e delle sue innumerevoli entrature».
TRAIT D’UNION TRA DUE MONDI
In particolare, il pentito Cortese descrive Barberio come «trait d’union tra i mondi sommersi della criminalità del Crotonese e quelli apparentemente più elevati della politica e dell’imprenditoria». Cortese si sofferma anche sui villaggi turistici «oggetto di un’affermata e verificata attività di riciclaggio». Ma Barberio si sarebbe messo «a disposizione del clan anche in ambiti diversi da quelli turistici», per esempio avrebbe avuto un ruolo negli investimenti sul polo industriale di Cutro «avendo premura nel tessere legami tra la consorteria e gli investitori calati dal Nord per lucrare sul territorio». Il pentito Liperoti, dal canto suo, ricorda che Barberio era «noto per i suoi contatti altolocati».
Del resto, lui gli faceva da autista e presenziava a riunioni nel corso delle quali Barberio «guadagnava la stima del clan che lo identificava in una sorta di punta di diamante nonché di corda tesa tra ambienti malavitosi e imprenditoria». Barberio «non era certo costretto a subire estorsioni ma si limitava a distrarre margini di profitto derivanti dalle sue iniziative interessandosi all’acquisizione di terreni per l’allocazione di fabbriche e concorrendo a realizzare lavori per gli insediamenti». Il «tornaconto del clan» consisteva in una «percentuale sui guadagni» e, inoltre, «Barberio era utilizzato da Grande Aracri anche per la scelta degli investimenti».
RICICLAGGIO NEL TURISMO
Rilevante il contributo dell’imprenditore Giovanni Notarianni, lametino anche lui, attuale titolare di Porto Kaleo, oggi testimone di giustizia. È stato lui a raccontare, prima agli inquirenti e poi nelle aule giudiziarie, un calvario durato 20 anni. E in particolare dal 2001, quando Notarianni, amministratore di Alberghi del Mediterraneo srl che gestisce il villaggio Porto Kaleo, subentrò nella proprietà della struttura per averla acquistata all’asta per circa 8 miliardi di ex lire. Già l’acquisto della struttura coincideva con l’inizio di una traversia persecutoria che, per quasi un ventennio, vedeva la famiglia Notarianni sottoposta al giogo oppressivo della ‘ndrangheta che, in base a rigide logiche di spartizione territoriale, condizionava tutto nel villaggio, dalle assunzioni alle forniture.
GRANDE ARACRI E LE ACCUSE DEI NOTARIANNI
Qualcosa scattò, in Notarianni, quando nel villaggio si presentò, con una scorta di otto uomini, appena scarcerato, il boss Grande Aracri, che successivamente sarebbe stato condannato come capo supremo di una “provincia” di ‘ndrangheta il cui dominio si estendeva ben oltre il Crotonese, sulla Calabria mediana e settentrionale e parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto. Grande Aracri posò su un bancone una scatola nera, un rilevatore di frequenze che inibiva le intercettazioni, e chiese a Carla Rettura, la madre di Notarianni, la restituzione di un prestito a suo dire investito nella struttura dall’ex gestore che era appunto Pasquale Barberio. Un milione e mezzo di euro. «Altrimenti il bene non se lo gode nessuno».
Da allora Notarianni decise di non pagare più. Per quell’episodio, pure denunciato dalla famiglia Notarianni, il boss fu alla fine assolto. Diversa la sorte per la famiglia Mannolo di San Leonardo di Cutro, sepolta da condanne proprio in seguito alle denunce di Notarianni per il racket imposto a Porto Kaleo.
Il collegio ritiene «possibile» che, come asserisce il pentito Liperoti, Grande Aracri «abbia ingigantito le cifre in gioco ed oggetto di investimento allo scopo di colorare le pretese estorsive». Insomma, grazie a Barberio il clan ha iscritto Porto Kaleo nella propria «agenda economica».
BARBERIO “CONSIGLIOR” DEL BOSS, IL CASO DEI CANI AVVELENATI
E se la difesa cita l’episodio dell’avvelenamento di cani deciso in un summit alla presenza dei plenipotenziari delle cosche alleate di Isola Capo Rizzuto adirati con l’imprenditore per il mancato rispetto di patti relativi a un investimento nel campo del turismo, il Tribunale rileva che «se Barberio non fosse stato intraneo all’universo mondo criminale cutrese non vi sarebbe stato alcun motivi per invocare l’auctoritas del boss Grande Aracri». Anzi, «il suo interessamento è la cartina di tornasole dell’appartenenza di Barberio al suo clan».
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