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Il tribunale di Catanzaro

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Dopo 24 anni dall’omicidio di Giuseppe Castiglione, condannato solo il pentito Francesco Tornicchio. Il corpo della vittima non è stato mai trovato.


STRONGOLI (CROTONE)– A 24 anni dalla sua scomparsa nel nulla, si è finalmente fatto un processo per l’omicidio di Giuseppe Castiglione, il sorvegliato speciale ritenuto vittima di lupara bianca, scomparso nel nulla nel gennaio 2000, ma la gup distrettuale di Catanzaro Gabriella Pede ha condannato soltanto Francesco Tornicchio, il collaboratore di giustizia che si autoaccusa di essere stato l’esecutore materiale del delitto, a 8 anni di carcere, e ha assolto Giuseppe Fazio, nei cui confronti il pm antimafia Paolo Sirleo aveva chiesto l’ergastolo.
Accolta la tesi dei difensori di Fazio, gli avvocati Sergio Rotundo e Gianni Russano, che hanno puntato molto sull’inattendibilità del pentito, suffragata, a loro avviso, anche dal processo di revisione in cui il loro assistito è stato assolto per un altro omicidio compiuto a Strongoli, quello di Michele Masucci, assassinato nel 2008 nella centrale a biomasse. Ha scelto il rito ordinario il presunto mandante, il boss di Strongoli Salvatore Giglio.

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OMICIDIO CASTIGLIONE CONDANNATO IL PENTITO TORNICCHIO

Intanto, i resti di Castiglione non si trovano neanche dopo che il pentito ha portato gli inquirenti nel luogo in cui fu sotterrato la seconda volta, sotto un cassone di pomodori.
Nel settembre 2022 i carabinieri hanno compiuto operazioni di ispezione e scavo nel sito, individuato in base alle indicazioni fornite dal collaboratore di giustizia già condannato all’ergastolo per la strage ai campetti in cui morì il piccolo Dodò Gabriele, ma quello è un tratto di terra e fango, immerso nell’alveo del fiume Neto e parzialmente coperto da vegetazione.
Un tratto spesso travolto da piene torrentizie anche se non percorso dalle acque fluviali e pertanto sottoposto a continui movimenti geomorfologici. Il Neto esonda spesso, da quelle parti, appena in autunno cadono due gocce d’acqua, ed essendo quel tratto classificato ad alto rischio idrogeologico dall’Autorità di bacino della Regione Calabria non sarebbe immediatamente da escludere che ciò che resta del corpo senza vita sia finito in mare. 

LE INDAGINI SULL’ OMICIDIO CASTIGLIONE

La minuziosa ricostruzione del delitto fu proposta dal pentito ai carabinieri del Reparto operativo di Crotone e ai pm della Dda di Catanzaro già nel marzo 2019, ma furono necessari i relativi riscontri per arrivare all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’agosto scorso.
«Quando Giglio uscì dal carcere andai spesso a trovarlo nella sua azienda di Strongoli – narra Tornicchio – Fu lui a coinvolgermi nell’omicidio… Non ebbi esitazione ad assecondare la richiesta perché Castiglione unitamente ai fratelli Franco e Salvatore avevano ucciso mio zio Nicola Amodeo che non era’ ndranghetista. Lui fu ucciso perché era delinquente comune e non pagava l’eroina che comprava dai Castiglione…La ragione della decisione di Giglio era legata al fatto che Castiglione, unitamente a Salvatore Valente e Franco e Otello Giarratano nonché Vincenzo Russo avevano ammazzato Otello Giglio perché a sua volta aveva attentato alla vita di Valente».
Il pentito rievoca i fatti di sangue che precedettero la strage del 26 febbraio 2000, ordita sempre dal boss Giglio, ma il primo a cadere per suo volere sarebbe stato proprio Castiglione, attirato da Lidonnici in una trappola, a casa di Fazio, col pretesto di consumare una dose di eroina che Tornicchio aveva procurato. Sarebbe stato Fazio, secondo l’accusa, a materializzarsi alle spalle della vittima e a puntare una pistola alla testa contro Castiglione e a ucciderlo.

LA VITTIMA SEPPELLITA DUE VOLTE

La vittima fu seppellita due volte, dunque.
«Caricammo il cadavere su una Fiat “Ritmo” bianca rubata (io feci una staffetta con la mia Renault Twingo per bonificare il percorso). La macchina la comprai dal genero di Gaetano Barillari (pezzo grosso della ‘ndrangheta crotonese di recente scomparso, ndr). Il cadavere fu trasportato e seppellito in un terreno a Strongoli e Rocca di Neto in un terreno di proprietà del padre di Fazio. Lo seppellimmo io, Fazio, Lettieri e Girardi». 
Poi, il macabro spostamento. «Nel 2002, forse nel 2003 il cadavere fu spostato da Fazio nei pressi del fiume Neto. So che il cadavere è stato spostato di fronte all’azienda di Parrotta sul fiume Neto dove è stato interrato sotto un cassone di pomodori. Me lo disse Donatello Lerose».

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