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Processo Stige, per i giudici non c’è nessun asservimento dei sindaci alla cosca Farao Marincola, solo «Congetture». Atti legittimi e mancano prove di favori ai boss dagli ex amministratori di Comuni sciolti
CIRÒ MARINA – Nessun «asservimento» dei sindaci né tanto meno «favori» alla cosca Farao Marincola, quadro indiziario in alcuni casi «inconsistente» e addirittura basato su «congetture» e «forzature»: sono queste, in estrema sintesi, le motivazioni per cui in secondo grado, nel filone del rito ordinario del maxi processo “Stige”. Non ha retto la tesi accusatoria del patto tra politica e clan e quella della cappa mafiosa sull’economia. E vennero pertanto assolti ex sindaci, ex amministratori comunali e imprenditori nonostante fossero stati sciolti consigli comunali e fossero state emesse interdittive alle imprese, di cui furono revocate le confische.
Delle 27 assoluzioni (a fronte di 26 condanne) disposte, nel novembre scorso, dalla Corte d’Appello di Catanzaro, non è tanto il numero che deve impressionare ma la qualità degli imputati scagionati, quasi tutti di spicco. Come l’ex presidente della Provincia di Crotone ed ex sindaco di Cirò Marina Nicodemo Parrilla, in primo grado condannato a 13 anni di reclusione. Come l’ex sindaco di Strongoli Michele Laurenzano, che era condannato a 8 anni. O l’ex assessore del Comune di Crucoli Tommaso Arena e l’ex consigliere dello stesso ente Gabriele Cerchiara, in primo grado condannati a 4 anni ciascuno.
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STIGE, NESSUN ASSERVIMENTO DEI SINDACI ALLA COSCA MA CI SONO SENTENZE STRIDENTI
Ma è appena il caso di rilevare, con particolare riferimento al Comune di Cirò Marina, epicentro della super cosca egemone nel Cirotano, nel Cosentino jonico e con ramificazioni in Nord Italia e in Germania, tre furono le tornate elettorali finite sotto la lente dei carabinieri che hanno condotto la maxi inchiesta. Nel 2006 eletto sindaco Nicodemo Parrilla, nel 2011 Roberto Siciliani. Nel 2016 di nuovo Parrilla (poi divenuto anche presidente della Provincia di Crotone) contrapposto a Siciliani ma, secondo gli inquirenti, sempre col sostegno del clan. Siciliani, nel filone del rito abbreviato, è stato condannato in via definitiva a otto anni per concorso esterno in associazione mafiosa nelle settimane scorse, quando la Cassazione, respingendo una raffica di ricorsi, fece passare in giudicato una quarantina di pene. I due tronconi processuali sembrano, dunque, aver raggiunto esitI, per il momento, stridenti.
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COMUNE DI CIRÒ MARINA
«Una lettura complessiva dei dialoghi captati poco prima delle elezioni amministrative del 2006 e dopo l’elezione a sindaco di Nicodemo Parrilla non consente di ricavare il suo asservimento alla cosca perché, al contrario, emerge il contrasto tra le posizioni assunte da Parrilla nel consiglio comunale e la volontà del sodalizio, all’epoca rappresentato dal reggente in stato di libertà Vincenzo Pirillo, per come si ricava dalle conversazioni in cui Pirillo è uno degli interlocutori intercettati». Lo scrive la Corte d’Appello nel motivare l’assoluzione di Parrilla. Richiamando le vicende che hanno preceduto il voto, i giudici valorizzano un’intercettazione in cui Pirillo, successivamente ucciso nella strage al ristorante L’Eko, osservava: «perché, pure Parrilla è contro di noi? Bastardo, quando è stato questo?».
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I giudici rilevano anche che l’ex assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Berardi, ritenuto la cerniera tra politica e ‘ndrangheta anche in virtù delle sue parentele, (per lui, invece, pena rideterminata da 15 anni e 6 mesi a 13 anni), aveva «manifestato la volontà dello zio», il boss Giuseppe Farao (in Appello condannato a 24 anni), circa l’affidamento dell’incarico alla ditta dei dei rifiuti Derico, avvenuto però «d’urgenza per lo stato d’emergenza in Calabria».
L’OPINIONE DEL BOSS FARAO SULLA PERFORMANCE ELETTORALE DEL CANDIDATO SINDACO
Valorizzata in sentenza, a proposito della seconda tornata, un’affermazione del boss Farao che in carcere, a colloquio con i familiari, evidenzia che «il sindaco ha fatto la figura del …affanculo». Affermazione, sempre per i giudici, «indicativa non solo della sconfitta elettorale di Parrilla nel 2011 ma anche del fatto che il capocosca manifesta di non aver apprezzato l’operato di Parrilla, in linea con quanto emerso da precedenti intercettazioni» che hanno documentato come il sodalizio, per il tramite del reggente Pirillo, «si era posto in chiara contrapposizione con Parrilla». Insomma, «difficilmente potrebbe ipotizzarsi che gli atti amministrativi adottati da Parrilla durante la precedente consiliatura fossero espressione di un asservimento, tantomeno di elargizioni di Parrilla al sodalizio».
E veniamo alla terza tornata, monitorata dai carabinieri che intercettarono un summit presso un hotel di Torre Melissa dove arrivarono i plenipotenziari del clan insieme a Parrilla e captarono conversazioni sul patto politico con Siciliani che i pezzi grossi della cosca decidono di non appoggiare più «perché era stato quest’ultimo a tirarsi indietro».
Lo direbbe Martino Cariati, al quale Giuseppe Spagnolo replica: «se vado da Roberto o da quell’altro una cosa non me la fa?». Ma, venendo ai fatti. I giudici rilevano che, ad esempio, la piscina comunale venne sì affidata nel 2011 a Giuseppe Sprovieri, cugino di Giuseppe Sestito, altro esponente di vertice del clan, ma «dopo l’aggiudicazione il contratto col Comune non è mai stato sottoscritto e i canoni non sono mai stati pagati». Né «vi sono elementi da cui ricavare che Parrilla abbia poi acconsentito» alla richiesta di assunzione di una donna che l’avrebbe incontrato nella pescheria di Sestito, dove lo incontrò insieme alla moglie del boss Cataldo Marincola.
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COMUNE DI STRONGOLI
Ancora più pesanti le bacchettate dei giudici d’appello alla Dda di Catanzaro e al Tribunale penale di Crotone riguardo alla posizione dell’ex sindaco di Strongoli Michele Laurenzano, ex enfant prodige del Pd. «L’impostazione accusatoria, recepita in sentenza e interamente fondata su intercettazioni, sarebbe in contrasto con i basilari principi in tema di concorso esterno, nella specifica forma del patto di scambio politico-mafioso». Di Laurenzano era stata ravvisata la «responsabilità», rileva la Corte, «pur in presenza di condotte caratterizzate da atti amministrativi legittimi».
Nessun «ausilio» alla cosca dei Giglio. Il piano spiaggia? «Laurenzano aveva adempiuto a un preciso dovere, spendendosi per dotare il proprio Comune di uno strumento urbanistico essenziale e imposto dalla legge nel mentre si trovava a fronteggiare gli “animi caldi” dei titolari degli stabilimenti balneari penalizzati proprio dalla sua scelta di non prorogare le autorizzazioni illegali concesse (anche ai Giglio) dalla precedente amministrazione». Piuttosto, secondo i giudici, «Laurenzano aveva posto fine a una situazione illegale» invitando funzionari e dirigenti comunali all’osservanza delle prescrizioni antimafia.
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STIGE, NESSUNA PROVA DI PATTO O ASSERVIMENTO ALLA COSCA DA PARTE DEI SINDACI
A fronte di tutto ciò, i giudici valorizzano la testimonianza di un dirigente della Regione che «aveva confermato la legittimità dell’operato di Laurenzano» insistendo sulla mala gestio della precedente amministrazione. Quanto agli incontri col pregiudicato Enrico Miglio, erano «presunti» e «all’epoca era un cittadino libero sul quale non gravava alcuna restrizione, tantomeno di incontrare il sindaco». Gli incontri vertevano sulla richiesta di bitumazione di una strada e il “cambio di rotta” del sindaco, cioè lo scendere a patti con la cosca, è «una ricostruzione ipotetica basata su congetture e forzature interpretative». «Nessuna prova» di “patto” con la Giunta né di “promesse”. Tanto più che la strada era pubblica e mai venne bitumata.
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