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Cutro, salgono a 14 le condanne in Appello per il racket del clan Mannolo nel Catanzarese sgominato con l’operazione Big Bang
CUTRO – In Appello scendono a 12 le condanne contro la cosca Mannolo di San Leonardo di Cutro che seminava il terrore nella fascia jonica catanzarese imponendo estorsioni e usura. Quattro pene, in particolare, sono state ridotte essendo caduti alcuni capi d’imputazione e per altri due è stato disposto il non luogo a procedere per mancanza di querela, ma è stato condannato un imputato che in primo grado era stato assolto. La Corte presieduta da Alessandro Bravin (e composta, inoltre, da Maria Rosaria Di Girolamo e Assunta Maiore, cancelliere Giuseppe Femia) ha ritoccato il verdetto di primo grado emesso dal gup distrettuale di Catanzaro nel filone processuale del rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che portò all’operazione Big Bang.
La retata, nel marzo 2021, mise fine al calvario patito da imprenditori e commercianti tra Botricello, Cropani e Sellia Marina. Confermata l’assoluzione del vecchio boss Alfonso Mannolo, per il quale la Procura generale aveva chiesto 5 anni (il patriarca del clan è stato comunque condannato a 30 anni nel processo madre contro la cosca da lui capeggiata, quello denominato Malapianta). Suo figlio Dante, oggi pentito, in primo grado era stato condannato a due anni, ridotti in Appello a 1 anno e 8 mesi. In Appello è stato condannato a 8 anni Giuseppe Talarico, di Catanzaro, assolto in primo grado. Rideterminate le pene per Mario Scerbo, di Cutro, da 14 anni a 13 anni e mezzo; per Martino Sirelli, di Sellia Marina, da 11 anni e 4 mesi a 9 anni e 6 mesi; per Leonardo Curcio, di Cutro, da 7 anni a 4 anni e 6 mesi.
OPERAZIONE BIG BANG, IN APPELLO LE ACCUSE AL CLAN MANNOLO
Confermate le condanne di Volodymyr Nemesh ucraino, a 3 anni e 6 mesi; di Mario Falcone, di Cutro a 7 anni; di Leonardo Falcone, di Cutro, a 3 anni; di Leonardo e Tommaso Trapasso, di Cutro, e di salvatore Macrì, di Cropani, a 6 anni e 8 mesi ciascuno. Alle richieste del pg si erano associati gli avvocati di parte civile Michele Gigliotti e Daniela Scarfone che difendono alcune vittime di usura. Prosciolti per difetto della condizione di procedibilità Giovanni Zoffreo ed Egidio Zoffreo, di Cutro, in primo grado condannati a 8 mesi ciascuno. La Corte ha anche confermato condanne al risarcimento del danno revocando le statuizioni civili in relazione ad alcuni capi d’imputazione.
Dalle forniture di caffè imposte da Dante Mannolo, la cui pena è stata ridotta per l’attenuante per la collaborazione con la giustizia, i carabinieri della Compagnia di Sellia Marina erano partiti per ricostruire un vasto giro di racket e usura. I tassi d’interesse erano vorticosi e potevano lievitare fino al 150% su base annua, e le condotte estorsive erano finalizzate a ottenere il pagamento dei ratei mensili da parte delle vittime. Sarebbe emersa la sistematica imposizione del “pizzo” nei confronti di imprenditori e commercianti soprattutto in occasione delle principali festività dell’anno.
IL DUPLICE EPISODIO INTIMIDATORIO DEL 2018
L’input lo fornì un duplice episodio intimidatorio risalente alla notte del 13 novembre 2018, quando l’ucraino Nemesh sarebbe stato incaricato dai Mannolo di posizionare una tanica di benzina con accanto uno stoppino in stoffa dinanzi a due bar di Sellia Marina i cui titolari si erano opposti a ricevere forniture della ditta di Pietruccia Scerbo, moglie di Dante Mannolo, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di caffè. «L’epilogo di un procedimento penale fondato sugli esiti di puntuali, scrupolose e complesse investigazioni che permettono di ritenere ampiamente dimostrata la continuità operativa del gruppo Mannolo Scerbo, operante da tempo nel territorio del Crotonese e di San Leonardo di Cutro», era detto nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Luigi Falcone, Gregorio Viscomi, Antonio Viscomi, Domenico Pietragalla, Salvatore Iannone, Giuseppe Fonte, Antonio Lomonaco.
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