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ROCCA DI NETO (CROTONE) – Sette condanne e quattro assoluzioni: il gup distrettuale di Catanzaro ha, in buona parte, accolto le richieste del pm antimafia Paolo Sirleo nel processo contro la cosca Corigliano-Comito, i cui tentacoli si allungavano da Rocca di Neto fino allo Stato di New York, tant’è che scattarono anche perquisizioni negli Usa in un’inchiesta collegata a quella che portò a una maxi retata sul finire del 2022. Assolti Martino Comito (60), di Rocca di Neto; Mario Vito Funaro (34), di Crotone (per quest’ultimo il pm chiedeva 4 anni); Antonio Curto (33), di Petilia Policastro (2 anni e 2 mesi), Antonio Donato (43), di Crotone 6 anni e mezzo). Condannati a 20 anni ciascuno, tanti quanti ne chiedeva il pm, Michele Antonio Comito (33), di Rocca di Neto; Michele Antonio Comito (61), di Rocca di Neto; Salvatore Comito (37), di Rocca di Neto. Tredici anni e 5 mesi è la condanna per Martino Corigliano (58), per il quale erano stati chiesti 20 anni. Cinque anni e 10 mesi è la pena per Luigi Corigliano (29), di Rocca di Neto, per il quale il pm chiedeva 10 anni. Di quattro anni la pena inflitta a Luca Frustillo (39), di Cirò (8 anni); 8 anni e 8 mesi quella per Gabriele Stefanizzi (31), di Rocca di Neto (10 anni).
Gli imputati erano difesi dagli avvocati Arturo Bova, Nuccio Barbuto, Renzo Cavarretta, Luca Cianferoni, Mario Nigro, Gianni Russano, Fabrizio Salviati. Associazione mafiosa, narcotraffico, estorsioni e reati in materia di armi le accuse contestate a vario titolo.
Regge il capo d’imputazione relativo all’associazione mafiosa: secondo l’impianto accusatorio, Pietro Corigliano, che ha scelto il rito ordinario ed è stato già rinviato a giudizio insieme a una ventina di imputati, è indicato al vertice della cosca, in quanto «costituiva, dirigeva e organizzava la compagine, dettando le linee operative per il suo funzionamento, curava i rapporti con i vertici degli omologhi organismi di altri territori (come gli Usa, ndr), impartiva le direttive ai propri sottoposti, dirimeva le controversie eventualmente insorte, indicava gli obiettivi delle estorsioni, dettava i criteri per ripartire i proventi delle estorsioni, incaricava l’approvvigionamento e la custodia delle armi».
L’inchiesta avrebbe accertato l’operatività della cosca nella Valle del Neto: tra le vittime i titolari della clinica Romolo Hospital che sarebbero stati costretti a versare un pizzo mensile di duemila euro. Le mazzette nelle intercettazioni erano mascherate sotto forma di cornetti da consegnare in quanto un gruppo di dipendenti della clinica avrebbe avvisato gli esattori del clan quando appunto cornetti e caffè erano “disponibili”. Il monitoraggio degli indagati, oggi imputati, avrebbe consentito di fare luce anche sulla disponibilità di armi da fuoco e di documentare il loro effettivo utilizzo, durante una prova compiuta in una zona isolata. Non a caso nel corso di mirati servizi furono sequestrati quattro fucili e una pistola. Luce anche su un traffico di cocaina e marijuana: gli imputati avevano, secondo l’accusa, vari fornitori e poi smerciavano la droga, affare che era appannaggio della famiglia Comito.
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