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Campagna di odio sui social e minacce di morte al collaboratore di giustizia Bonaventura: «I pentiti e i loro figli devono morire»

CROTONE – «I collaboratori di giustizia sono monnezza, non sono uomini, devono morire con tutti i familiari, meritano di essere sciolti nell’acido». «Meglio per i figli dei pentiti non nascere, devono morire nella culla». «Presto si porteranno anche i parenti dei Bonaventura nell’aldilà». Si scatenano le minacce durante le dirette su Tik Tok del pentito Luigi Bonaventura, da tempo impegnato in un progetto di “antimafia sociale”, e si organizzano “live” per delegittimare i collaboratori di giustizia e annunciare il loro sterminio. Spesso le minacce vengono da nick name anonimi. Come quel “Reggina 1914” che giustifica perfino l’infanticidio, se si tratta di figli di collaboratori di giustizia, perché «il seme è quello» e i pentiti non sono “uomini”. Ma c’è anche la macchina del fango che parte da chi ha nome e volto riconoscibile.

«È in atto una campagna di delegittimazione nei confronti dei collaboratori, fatta di apologia delle mafie e istigazione alla violenza», dice al Quotidiano Bonaventura, che ha presentato un esposto alla Dda di Catanzaro chiedendo di essere interrogato dai pm antimafia e allegando video estratti dai social. L’esposto è stato predisposto dall’avvocato Francesco Guido, che ha presentato anche un esposto alla Dda di Napoli poiché un altro collaboratore di giustizia da lui assistito, l’ex camorrista Francesco Mazzarella, ha subito minacce di morte intervenendo alle dirette di Bonaventura: «Ti sfondo la testa». «Non siamo di fronte a singoli che manifestano il loro disagio sociale ma dinanzi a una strategia ben organizzata da chi ha deciso, da un lato, di denigrare i collaboratori di giustizia e, dall’altro, di istigare gli utenti all’odio social nei loro confronti», dice l’avvocato Guido.

Qualche esempio. «Ti sto sfidando», intima a Bonaventura il titolare di una nota pizzeria crotonese, nelle sue dirette. Chi interviene non è da meno. Accusano Bonaventura di essere un “tossico” o di avere costretto qualcuno a portargli ragazze minorenni quando era latitante. Spesso a inveire sono imputati e familiari di imputati finiti a processo in seguito alle sue rivelazioni. Tutto documentato e allegato alle denunce che ora potrebbero innescare un meccanismo giudiziario per fare luce su chi muove le fila dell’odio social nei confronti dei pentiti di mafia. «Qualcuno ci accusa di uccidere i bambini, ma la gran parte di coloro che hanno lo status di collaboratori di giustizia non è imputata di omicidio, alcuni sono addirittura incensurati», dice ancora Bonaventura. «Ospito anche magistrati nelle mie dirette social “Striscia l’antimafia”, contribuisco a togliere simpatizzanti alle mafie. Questo dopo aver fatto dichiarazioni che hanno aiutato i magistrati e le forze dell’ordine a smantellare le cosche della ‘ndrangheta jonica e dopo aver fatto i nomi della mafia imprenditrice. Si capisce perché ce l’abbiano con me minacciandomi di morte», aggiunge Bonaventura.

Sullo sfondo, resta un paradosso: la revoca del programma di protezione dal 2014 per Bonaventura. I suoi familiari, come già riferito dal Quotidiano, hanno dovuto fare ricorso al Tar del Lazio per essere riammessi al programma, proponendo un ricorso contro il provvedimento della Commissione centrale del ministero dell’Interno che aveva revocato la protezione nonostante i pareri della Dda di Catanzaro e della Dna favorevoli alla proroga, considerati anche gli impegni processuali e la necessità di salvaguardare l’incolumità sua e dei congiunti. Ma lui non demorde, ha fondato l’associazione “Sostenitori dei collaboratori e testimoni di giustizia” e ha un progetto di “antimafia sociale”. Intanto, i soci di “Sostenitori dei collaboratori e testimoni di giustizia” continuano a ricevere messaggi intimidatori in privato. Benvenuti su Tik Tok.

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