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Nicolino Grande Aracri

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Grande Aracri brindò dal balcone e gettò la bottiglia nel cassone col cadavere; le motivazioni delle condanne dei pentiti nel processo “Thomas”


CUTRO – Il suo compito era quello di accelerare energicamente il motore di un trattore al fine di coprire il rumore degli spari con i quali venne ucciso Antonio Macrì, nel piazzale antistante la casa del boss Nicolino Grande Aracri, mandante del delitto. Da quel momento, Giuseppe Liperoti, oggi collaboratore di giustizia, ha assistito a tutte le fasi dell’omicidio, dai colpi di mitraglietta sparati da Ernesto Grande Aracri, fratello del boss Nicolino, al brindisi fatto da quest’ultimo che «dal balcone stappava una bottiglia di champagne». La bottiglia fu poi gettata dal boss «nel carrello dove era stato sistemato il cadavere ricoperto di letame».

Rivelazioni, quelle del pentito, ritenute attendibili, prive di contraddizioni ma soprattutto «precise e intrinsecamente coerenti» anche perché provengono da un affiliato alla cosca Grande Aracri, col grado di sgarrista. «Organico al sodalizio mafioso», scrive la gup distrettuale di Catanzaro Chiara Esposito, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui quattro imputati sono stati condannati nel processo col rito abbreviato nato dall’inchiesta della Dda che nel gennaio 2020 portò all’operazione “Thomas”.

L’INCHIESTA E LE TALPE NELLE FIAMME GIALLE

L’inchiesta, coordinata dal pm antimafia Domenico Guarascio, avrebbe fatto luce anche su presunte “talpe” tra le Fiamme gialle accusate di aver rivelato informazioni sulle indagini ai clan di Cutro, Isola Capo Rizzuto e Belvedere Spinello. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Liperoti, in particolare, è stato condannato a 9 anni di reclusione perché riconosciuto responsabile di concorso nell’omicidio di Antonio Macrì, vittima di lupara bianca, avvenuto il 21 aprile del 2000 a Cutro, e per il quale Vito Martino e il boss Grande Aracri stanno scontando la pena dell’ergastolo inflitta nel processo “Scacco matto”.

L’altro collaboratore di giustizia Antonio Giuseppe Mancuso, di Cropani, è stato condannato a 2 anni, 2 mesi e 20 giorni di detenzione. A Domenico Ferrara, luogotenente della Guardia di finanza di Crotone oggi in pensione, sono toccati 8 mesi di carcere (pena sospesa) – a fronte di 3 anni chiesti dal pm – e a suo carico è caduta l’aggravante della finalità ‘ndranghetista. Al finanziere veniva contestato di aver effettuato, tra il 2017 e 2018, diversi accessi abusivi alla banca dati delle Fiamme gialle per avere notizie. Infine, per l’imprenditore di Cutro, Giuseppe Greco, pena (sospesa) di 1 anno, 9 mesi e 10 giorni di detenzione per istigazione alla corruzione, con esclusione dell’aggravante mafiosa.

PROCESSO THOMAS: LE RIVELAZIONI DI LIPEROTI SUL DELITTO E IL RUOLO DI GRANDE ARACRI

In particolare, le rivelazioni di Liperoti contribuiscono ad aggiungere un tassello importante alla ricostruzione di uno dei delitti oggetto del processo Scacco Matto, l’inchiesta madre sulla cosca Grande Aracri. Il pentito descrive Macrì come un “azionista” della cosca avversa dei Dragone e riferisce di aver partecipato a summit da cui emerse che «era assolutamente necessario ammazzare ‘u “Topu”», nomignolo della vittima, che venne attirato in una trappola a casa del boss. Sarebbe stato Ernesto Grande Aracri ad attirare la sua attenzione appena la vittima predestinata si presentò e Liperoti spinse sull’acceleratore, come da copione.

Poi Ernesto Grande Aracri avrebbe sparato colpi di mitraglietta alla nuca a Macrì e mentre armeggiava tra carrello e trattore, dal balcone il fratello Nicolino avrebbe fatto segno a Liperoti di prelevare i soldi consegnati alla vittima poco prima. Quindi, il lancio della bottiglia di champagne nel carrello. Liperoti prese anche un rolex e una collanina che conservò per un mese, per poi restituirli ad Ernesto Grande Aracri. Liperoti, Martino ed Ernesto Grande Aracri avrebbero poi fatto sparire le tracce di sangue con una pompa. Sono i macabri dettagli per cui Liperoti è stato ritenuto «credibile».

IL BOSS GRANDE ARACRI E LE OPERAZIONI FINANZIARIE

Il boss Grande Aracri non era soltanto un sanguinario che brindava sul cadavere delle vittime ma anche il regista di sofisticate operazioni finanziarie. L’altro pentito, Mancuso, è stato condannato per quei 243 milioni su un conto Mediolanum con i quali si stava cimentando, su disposizione del boss, in una piattaforma finanziaria clandestina per accedere alla quale occorrevano garanzie reali. Dall’inchiesta è emerso che la banca che ha fatto da piattaforma finanziaria è la famigerata Hsbc, istituto londinese con sede a Hong Kong. Tuttavia, la giacenza bancaria è risultata essere costituita da «documenti falsificati».

Furono artefatte le firme dei direttori della banca Mediolanum. Inoltre, è venuto fuori che si trattava di un’operazione di business di cambio di valuta fuori corso di won coreani. Tutte attività che «rientravano nella manovra di arricchimento della consorteria finanziata da Nicolino Grande Aracri e posta in essere dai suoi affiliati», scrive la giudice. Operazioni eseguite dal pentito per avere protezione da parte della cosca per debiti usurari maturati nei confronti delle famiglie mafiose di Cropani dei Tropea e dei Talarico.

Scenari sofisticati e metodi violenti convivono nel modus operandi del super boss di Cutro. Del resto, Mancuso diceva a un broker che aveva contatti in Svizzera e con un imprenditore cinese, mentre cercavano di portare fuori dal territorio nazionale la moneta coreana, che «se qualcosa fosse andata storta ci avrebbero tagliato la testa».

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