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Il barcone naufragato a Cutro

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CROTONE – «Non ho mai visto un mare così in vita mia, avevo paura, ho chiesto al capitano di chiamare i soccorsi per evitare di annegare, nessuno di noi conosceva la zona, era buio, non sapevamo dove andare, l’acqua ha iniziato ad entrare nella barca»: sono le fasi più drammatiche del racconto del siriano Mohamed Abdessalem, di 27 anni, forse uno degli organizzatori e scafista della tragica traversata terminata con un naufragio a Steccato di Cutro, dove, nel febbraio 2023, sono morti 100 migranti. L’imputato ha depositato dichiarazioni spontanee con cui ammette, in buona sostanza, le sue responsabilità. Il Quotidiano è in possesso del documento tradotto da un interprete nominato dalla gup Assunta Palumbo.

Abdessalem, assistito dall’avvocata Vincenza Raganato, dice di essere scappato dalla Siria e di aver raggiunto la Turchia per sottrarsi alla leva militare in un contesto in cui si verificano omicidi, torture e violazioni dei diritti umani. L’imputato, che ha scelto il rito abbreviato, ammette di aver preso parte a questo e altri viaggi della speranza per motivi economici, al fine di aiutare la sua famiglia che vive in condizioni di miseria. «Durante la mia permanenza in Turchia mi è stato offerto più di una volta di lavorare alla guida di navi per immigrati ma ho sempre rifiutato. Ma dopo il terremoto avvenuto in Turchia e Siria e la morte di molte persone ho perso casa, lavoro e sicurezza e sono stato costretto ad accettare l’offerta di guidare la barca e fare un altro viaggio».

Abdessalem ripercorre l’inizio di una traversata con una prima imbarcazione che si fermò per un guasto al motore. Lo fa soprattutto per precisare che suo padre non è il “responsabile” del viaggio. Poi ammette di aver dato un “aiuto” all’equipaggio e di aver offerto assistenza nella riparazione del motore, avendo già esperienza. Poiché parla arabo, sostiene Abdessalem, molte persone gli facevano domande sull’itinerario e lui forniva rassicurazioni sulla posizione dell’imbarcazione. Ma dice anche che non gli è stata versata alcuna somma in quanto «c’era solo la promessa di pagare al mio ritorno in Turchia», afferma l’imputato. Quindi, Abdessalem ammette l’assenza di dotazioni di sicurezza e la disponibilità di I-pad e mappa.

«All’inizio del viaggio il mare era calmo, poi è diventato alto e mosso quando abbiamo raggiunto le coste italiane». L’incubo era già iniziato. «I passeggeri avevano paura, abbiamo solo pensato ad avvicinarci alla parte illuminata della terra, non avevano idea della profondità quando la barca si è scontrata, non c’era niente che potevamo fare, ci hanno detto di buttarci in mare e anche noi ci siamo buttati. Mi dispiace molto – aggiunge – di non aver potuto aiutare gli altri, soprattutto donne e bambini, ma in quel momento la situazione era terribile. Mi succede spesso – conclude – di pensare che e persone che sono morte potevano essere membri della mia famiglia».

Abdessalem era detenuto del carcere di Lecce quando gli è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare, perché accusato di far parte di un’organizzazione dedita al traffico di migranti. La requisitoria del pm Pasquale Festa, che aveva chiesto e ottenuto il giudizio immediato, è fissata per il 27 giugno prossimo. Un altro presunto scafista del naufragio di Cutro che era fuggito all’estero è quello che fu individuato in Austria: si tratta di Gun Ufuk, già condannato a 20 anni col rito abbreviato. Ufuk e Abdessalem si aggiungono ad altri tre fermati nell’immediatezza: il turco, Sami Fuat, ritenuto il capitano, e due facilitatori pakistani, Khalid Arslan, e Ishaq Hassnan (dichiaratosi inizialmente minorenne ma poi smascherato), per i quali pende il processo col rito ordinario.

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