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Fa discutere la concessione dei domiciliari a due accusati di estorsione mafiosa a Cutro in cambio della riparazione alle vittime che non hanno incassato l’assegno


CUTRO – «Noi i soldi della mafia non li vogliamo». Sembra che vogliano dire questo i titolari di una delle imprese estorte dalle presunte nuove leve dei clan. Eppure dal carcere ai domiciliari, in seguito all’offerta di riparazione del danno, sono passati in due dopo che il gup distrettuale di Catanzaro Mario Santoemma ha concesso la misura cautelare meno afflittiva.

Si tratta dei fratelli Francesco Martino, di 27 anni, e Salvatore Martino, di 32. Il primo è difeso dagli avvocati Gianni Russano e Fabrizio Salviati, il secondo dagli avvocati Gianni Russano e Stefano Nimpo. La formula adottata dal giudice tiene conto di un’«offerta reale con conseguente accettazione e ricezione». Ma, almeno in un caso, non corrisponde alla realtà dei fatti. Una delle due imprese che sarebbero state vessate ha sì ricevuto un assegno circolare di 2mila euro, che però non è stato mai incassato.

ESTORSIONE A CUTRO, ALCUNE DELLE VITTIME NON INCASSANO L’ASSEGNO MA LA PROCEDURA POTREBBE ESSERE SEGUITA DA ALTRI IMPUTATI

I fratelli Martino, che hanno scelto il rito abbreviato, erano stati arrestati insieme a Giuseppe Ciampà, di 42 anni, Salvatore Ciampà (39), e Carmine Muto (41). Da quanto è stato possibile apprendere, ulteriori offerte reali di riparazione sono state avanzate dagli altri imputati e quindi potrebbero scattare altre scarcerazioni poiché la norma non tiene conto dell’accettazione o meno dell’offerta, che viene fatta sia per ottenere un’attenuazione delle misure cautelari, sia per usufruire di un’attenuante in caso di condanna. Non rileva, infatti, che la parte offesa abbia rifiutato o dichiarato di voler rinunciare all’offerta. Rileva la congruità e serietà dell’offerta, dice sempre la norma, che deve corrispondere al quantum indicato nei capi d’imputazione. La concessione dei domiciliari prevede il braccialetto elettronico quindi sono soddisfatte le esigenze di sicurezza.

UNA VICENDA CHE HA INNESCATO DIVERSE DISCUSSIONI E RIFLESSIONI

La vicenda sta facendo discutere molto anche perché la città di Cutro era scesa in piazza a sostegno dei denuncianti pochi giorni dopo gli arresti. Un fatto inedito a queste latitudini. Una novità quasi rivoluzionaria, la mobilitazione contro la cappa mafiosa che asfissia il territorio. L’inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Crotone e coordinata dalla Dda di Catanzaro, era partita, infatti, dopo le denunce di imprenditori che erano stati “avvicinati” dalle presunte nuove leve dei clan. Il primo a denunciare era stato un socio e amministratore della nota attività di ristorazione “La locanda”, al quale sarebbe stato intimato di consegnare periodicamente cifre per un “pensiero” ai detenuti.

Successivamente l’imprenditore sarebbe stato pedinato in auto e poi raggiunto da uno degli imputati che con fare minaccioso gli avrebbe chiesto di soddisfare le richieste di “pizzo”. Le intercettazioni e le videoriprese eseguite dagli investigatori avrebbero confermato che componenti delle famiglie Ciampà e Martino, riconducibili alle più blasonate e tra loro rivali famiglie di ‘ndrangheta dei Dragone e dei Grande Aracri, erano impegnati in un più ampio disegno estorsivo per rafforzare la loro egemonia mafiosa sul territorio.

L’INCHIESTA HA MESSO IN LUCE IL RITORNO ALL’ATTIVITÀ DI DUE FAZIONI CRIMINALI

L’inchiesta attesta, dunque, che si sono rimesse all’opera fazioni criminali fino a qualche anno fa in guerra, spartendosi il territorio forse con un tacito accordo. Giuseppe Ciampà è un nipote storico del boss Dragone ed ha scontato una lunga pena per l’uccisione di Salvatore Blasco, ordita dal vecchio boss, poi assassinato, per vendicare la morte del figlio Raffaele. La guerra negli anni di piombo era contro il rivale Nicolino Grande Aracri, che successivamente sarebbe stato condannato all’ergastolo anche per l’uccisione del boss Dragone.

I due Martino sono figli dell’ergastolano Vito, storico componente del gruppo di fuoco del boss Grande Aracri. La loro posizione processuale è correlata nei capi d’accusa a due imprese vessate. Bastano duemila euro a riparare un danno che è anche morale? Non spetta a noi stabilirlo. Ma l’interrogativo resta in piedi. La difesa degli imputati ha sicuramente seguito tutti i crismi procedurali. E il procedimento penale farà il suo corso a prescindere dalla volontà delle persone offese di accettare o meno eventuali riparazioni.
Intanto, la prima udienza preliminare è saltata perché alle vittime non erano stati notificati gli atti per consentire la costituzione di parte civile. Se ne riparla a novembre. Il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, ha annunciato più volte che il Comune si costituirà parte civile.

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