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L'ecomostro di località Scifo

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I giudici d’Appello riconoscono la lottizzazione abusiva ormai prescritta e adesso in località Scifo chi demolirà lo scempio?


CROTONE – La lottizzazione abusiva c’è stata ma i reati sono prescritti e quindi va revocata anche la statuizione accessoria del ripristino dello stato dei luoghi. Lo spiega la Corte d’Appello di Catanzaro, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui, tre mesi fa, ha dichiarato estinti i reati per i quali, nel luglio 2021, il Tribunale penale di Crotone aveva disposto cinque condanne nel processo sul contestatissimo Marine Park Village, cancellando anche la condanna alla “messa in pristino”. Ma i giudici non spiegano chi dovrà pagare per la demolizione dello scempio consumato nell’incantevole località Scifo, in piena Area marina protetta “Capo Rizzuto” e a due passi dalla colonna magnogreca simbolo della città di Pitagora nel mondo.

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Il Tribunale di Crotone aveva ordinato che le spese per il ripristino dello stato dei luoghi fossero a carico degli imprenditori e del progettista. I titolari dello “scempio”, però, non solo non hanno demolito ma hanno pure intentato una causa civile nel corso della quale si rischia un nuovo caso Punta Perotti. Ritenendosi danneggiati dal Comune poiché confidavano che il permesso di costruire fosse legittimo, chiedono un risarcimento di sette milioni di euro.
Intanto, la Corte presieduta da Alessandro Bravin ribadisce che il sacco del territorio stava per essere perpetrato, ma è stato fermato dalla Procura crotonese.

LO SCEMPIO DI SCIFO, I DUBBI SULLA STRUTTURA

«Mentre la convenzione presupponeva si trattasse di strutture leggere, in realtà i bungalow stabilmente ancorati alle platee in cemento capaci di accogliere tre, quattro ospiti ciascuno, unitamente al ristorante, alla piscina e ai servizi annessi – è detto nella sentenza – ciò lasciava presagire uno stabile aumento del carico urbanistico, ancora più elevato nei periodi di maggiore picco turistico anche con riferimento alla viabilità della zona, alle risorse elettriche e in generale alle reti di servizio». Eppure i giudici non hanno potuto far altro che rilevare la prescrizione, così come aveva fatto il sostituto procuratore generale Roberto Amorosi.

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In primo grado, condanne a due anni e sei mesi di reclusione ciascuno per Elisabetta Dominijanni, dirigente del settore Urbanistica del Comune, e per Gaetano Stabile, responsabile del procedimento. Un anno e sei mesi di arresto per gli imprenditori Armando Scalise e Salvatore Scalise e per il progettista Gioacchino Buonaccorsi. In primo grado assolto Mario Pagano, ex soprintendente archeologico e paesaggistico per le province di Catanzaro, Crotone e Cosenza, accusato di falso, che nel processo d’appello era pertanto uscito di scena. La sentenza d’appello conferma comunque la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Comune e Legambiente e la confisca dei terreni e delle opere.

L’INTERVENTO EDILIZIO E LE ACCUSE A DOMINIJANNI E STABILE

Si era già prescritta in primo grado l’ipotesi di abuso d’ufficio di cui Dominijanni e Stabile rispondevano per il rilascio del permesso di costruire del Comune nel dicembre 2011 in violazione di varie norme, ma non quella connessa alla proroga a fronte di un’istruttoria assente. Perché gli Scalise non erano imprenditori agricoli (si occupano di turismo e commercio di articoli sportivi) e avrebbero falsamente attestato la disponibilità dei terreni. Nonostante la destinazione agrituristica, avrebbero realizzato un intervento edilizio che «non presentava alcun nesso con l’eventuale conduzione agricola del fondo» e nel progetto nulla si diceva sulla realizzazione di 79 bungalow. Intanto, l’abuso d’ufficio è pure abrogato dal ddl Nordio. Estinta anche l’accusa di alterazione delle bellezze naturali di un’area sottoposta a duplice vincolo tutorio sotto il profilo ambientale e in zona d’interesse archeologico.

Agli Scalise e a Buonaccorsi era contestato anche lo scavo a servizio della piscina e del bungalow da adibire a ristorante in difformità rispetto al nullaosta archeologico dell’aprile 2009. Il solo Salvatore Scalise era accusato anche di aver indotto in errore il pubblico ufficiale che gli ha rilasciato il famigerato certificato di imprenditore agricolo, ma anche quest’accusa è ormai prescritta.
Via spianata, dunque, per i difensori degli imputati, gli avvocati Mario Nigro, Domenico Grande Aracri, Francesco Scalzi, Giovanni Allevato, Mario Lucente, che hanno ottenuto il “non luogo a procedere”. Nonostante la «significativa trasformazione dell’area» con gli interventi descritti nei capi d’imputazione, e cioè i 79 bungalow dotati di cucina e servizi, di impianti di scarico delle acque, e i manufatti destinati a ristorante e piscina. Le foto allegate agli atti, rileva la Corte, mostrano «la presenza di stabili strutture abitative che non possono farsi rientrare nella nozione di campeggio e villaggio-camping fornita dalla legislazione regionale».

LO SCEMPIO DI SCIFO, LA SITUAZIONE DELLA GIUSTIZA AMMINISTRATIVA

Sul versante della giustizia amministrativa, l’ordinanza del Comune, che nell’agosto 2019 disponeva la demolizione dei manufatti realizzati senza titolo in un’area sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali ed archeologici, è ormai definitiva, come ha stabilito il Consiglio di Stato nel gennaio 2023. Le 79 piastre in cemento per la posa dei bungalow, il deposito di materiali, la piscina in cemento armato e il manufatto destinato a ristorante-pizzeria con pilastri in legno vanno abbattuti. C’è da eliminare una bruttura che deturpa un promontorio immerso in luoghi di suggestiva bellezza, davanti a un mare che è un incanto e a ridosso dei reperti dell’antica Kroton. Stante l’inadempienza del trasgressore, il Comune potrebbe computare i costi al privato. Ma non lo fa perché incombe la spada di Damocle del giudizio civile. I frequentatori di una caletta incontaminata si erano ormai assuefatti all’orrido che convive con l’incanto di Scifo. L’incanto oggi convive anche con l’assurdo.

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