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Il Tribunale di Crotone sancisce un precedente importante: dà ragione alla Humanity 1 e definisce ingiusto fermare l’ong
CROTONE – «Non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso per le modalità stesse con cui è stata esplicata». Ed è «circostanza documentalmente provata» che «il personale libico fosse armato e avesse esploso colpi d’arma da fuoco». Inoltre, «nessun luogo sicuro risulta essere stato reso noto dalle autorità libiche intervenute per coordinare sul posto le operazioni di recupero dei migranti». Per questi motivi, il giudice del Tribunale di Crotone Antonio Albenzio ha confermato la sospensione dell’efficacia del fermo amministrativo della nave Humanity 1 che era stato eseguito dal ministero degli Interni con un blitz interforze in seguito al salvataggio in acque libiche dello scorso 2 marzo.
LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI CROTONE DOPO IL RICORSO DELLA SOS HUMANITY
La decisione assunta in accoglimento del ricorso presentato dai legali della ong tedesca Sos Humanity, le avvocate Giulia Crescini e Cristina Cecchini, potrebbe sancire un precedente perché stabilisce che l’attività della guardia costiera libica non è rispettosa di accordi internazionali che sanciscono l’obbligo di prestare soccorso in mare. Un principio a cui potrebbero uniformarsi altri giudici, in un contesto in cui il volto duro del ministero degli Interni contro le ong impegnate nella ricerca e nel salvataggio di migranti si è ripresentato a Crotone e non solo. Stessa sorte è capitata nelle settimane scorse alla Sea Eye e alla Sea Watch mentre un’altra tragedia si consumava nel Mediterraneo.
La nave era arrivata a Crotone lo scorso 4 marzo dopo aver soccorso nel canale di Sicilia 77 persone ed era stata sottoposta a fermo per aver violato il decreto Piantedosi nel soccorrere i migranti alla deriva. Secondo la guardia costiera libica, avrebbe ostacolato il soccorso di migranti. Secondo la Ong, invece, i libici avevano anche sparato in acqua per indurre i soccorritori a lasciare la zona di soccorso.
LA LIBIA NON PIO’ ESSERE CONSIDERATA PORTO SICURO
Il punto nodale è che «allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un porto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 da parte della Libia», osserva il giudice. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo ha più volte richiamato la Libia durante le operazioni di recupero dei migranti, rilevando comportamenti violenti e minacciosi e manovre ad alta velocità e non sicure che causano il rovesciamento delle imbarcazioni dei migranti. Elementi «sufficienti per escludere qualsivoglia qualificazione delle operazioni effettuate dalla guardia costiera libica, con personale armato e senza individuazione di un luogo sicuro conforme ai parametri internazionali, come operazioni di salvataggio nel senso riconosciuto da plurime fonti internazionali».
“NON SI PUO’ FERMARE IL SOCCORSO IN MARE”
Insomma, «stante l’insussistenza di un’operazione di salvataggio concomitante perpetrata dalla guardia costiera libica», nessun ordine di allontanamento è «giustificabile» nei confronti dell’«unica imbarcazione che ha posto in essere condotte in adempimento del dovere assoluto di soccorso in mare».
Sconfessata la tesi dell’Avvocatura dello Stato che aveva ribadito l’accusa nei confronti della nave umanitaria di inosservanza all’ordine di allontanamento formulato dalla motovedetta libica intervenuta nelle operazioni di salvataggio dei migranti. In attesa dell’udienza di merito che si terrà il 26 giugno prossimo, il giudice nella nuova ordinanza cautelare ritiene, dunque, insussistente l’illecito amministrativo che veniva contestato a giustificazione del fermo che, come riconosciuto nella precedente pronuncia, comportava un’«evidente compromissione allo svolgimento di indifferibili attività a carattere umanitario».
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