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Condannato a 5 anni e 4 mesi Raffaele Todaro e a 6 anni e 7 mesi il figlio Giuseppe per un sistema per accaparrarsi gli appalti dopo il sisma

CUTRO (CROTONE) – Aggravante mafiosa esclusa e pene inferiori rispetto a quelle che erano state chieste dalla Dda di Brescia: il gup di Brescia ha condannato a 5 anni e 4 mesi Raffaele Todaro, per il quale erano stati chiesti 9 anni, e a 6 anni e 7 mesi il figlio Giuseppe, per il quale erano stati chiesti 14 anni; questa la sentenza nel processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che nel gennaio scorso portò all’operazione Sisma facendo luce su un presunto meccanismo per accaparrarsi gli appalti di ricostruzione nei centri ricompresi nel cosiddetto “cratere sismico” della provincia di Mantova (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica).

Figura chiave il 37enne architetto Giuseppe Todaro che ricopriva la carica di tecnico istruttore presso i cinque Comuni con compiti di verifica, di rendicontazione e di autorizzazione ai pagamenti dei contributi a fondo perduto stanziati dalla Regione Lombardia per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2012. Professionisti e beneficiari dei finanziamenti si sarebbero interfacciati con Giuseppe Todaro, peraltro nipote del boss Antonio Dragone ucciso a Cutro nel maggio 2004, in base a uno schema criminoso che, secondo la ricostruzione dei carabinieri di Mantova, consisteva nella corresponsione di indebite somme, in genere pari a circa il 3% del contributo elargito, per garantirsi la trattazione della propria pratica in violazione dell’ordine cronologico e con aumenti – talora non dovuti – dell’importo concesso a fondo perduto. I due dovevano rispondere di concussione con l’aggravante mafiosa poiché, secondo l’accusa, avrebbero imposto che il contributo pubblico venisse elargito ai richiedenti soltanto a condizione che costoro affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo a lui o a suo padre.

Ecco perché il gip distrettuale di Brescia Andrea Gaboardi dispose il sequestro della Bondeno srl con sede a Gonzaga, e della società Arte Casa, con sede a Mantova. Le indagini avrebbero messo in evidenza che tali società, che di fatto sarebbero state gestite da Raffaele Todaro, erano intestate a prestanomi per evitare il diniego di iscrizione nella white list in cui l’imprenditore era già incappato.

La difesa, rappresentata dagli avvocati Luigi Colacino e Giuseppe Ranieri, ha insistito molto sull’insussistenza dell’aggravante mafiosa puntando sul fatto che la cosca Dragone non esiste più essendo stata ormai sterminata nell’ambito della guerra di mafia vinta dal boss Nicolino Grande Aracri, e quindi i reati contestati non potevano essere commessi con la finalità di agevolare la ‘ndrangheta. Sono stati condannati a pene inferiori Giuseppe Ruggiero, Alfonso Durante, Antonio Durante, Claudio Pasotti, Enrico Ferretti.

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