Gli imputati dopo l’omicidio brindarono e fecero un selfie in un bar
3 minuti per la letturaCROTONE – Diventano definitive quattro condanne e un’assoluzione per l’omicidio di Giovanni Tersigni, il 36enne freddato con quattro colpi di pistola (tre alle gambe e uno ai glutei) nel settembre 2019, nel centro storico di Crotone. La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi difensivi accogliendo le richieste della Procura generale.
Le quattro pene si aggiungono alla condanna ormai passata in giudicato per il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, che si autoaccusa di essere stato il mandante e non aveva impugnato la sentenza d’Appello con la quale gli erano stati inflitti 11 anni e 4 mesi di reclusione. In Appello, un anno fa, una sola pena fu confermata rispetto al verdetto di primo grado e altre quattro furono ridotte.
Nel settembre 2021, invece, il gup distrettuale di Catanzaro aveva disposto sei condanne nel processo, svoltosi col rito abbreviato, ed escluse l’aggravante mafiosa valorizzando le dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Oliverio in primo grado era stato condannato a 18 anni e 9 mesi di reclusione. Vent’anni sono stati comminati in tutti e tre i gradi di giudizio a Cosimo Berlingieri, ritenuto l’esecutore materiale.
Diciotto anni e 9 mesi furono inflitti in primo grado a Paolo Cusato, che avrebbe lanciato l’arma del delitto sul tetto di un edificio: in Appello era stato condannato a 14 anni e 8 mesi, e anche questa pena diventa definitiva. Quattordici anni e 1 mese fu la pena decisa dal gup per Giuseppe Passalacqua, ridotta in Appello a 10 anni e 9 mesi, confermati in Cassazione.
Dodici anni e 6 mesi furono dati in primo grado a Cosimo Damiano Passalacqua, che avrebbe fatto da palo, e 12 anni e 6 mesi a Dimitrov Dimitar Todorov, che avrebbe accompagnato Berlingieri da Catanzaro a Crotone e viceversa: il primo è stato assolto ormai in via definitiva in quanto incapace d’intendere e volere al momento dei fatti, il secondo è stato condannato a 10 anni sia in Appello che in Cassazione.
Gli inquirenti, grazie anche agli impianti di videosorveglianza, ricostruirono la scena del delitto. Agli atti c’è anche il selfie del brindisi che la cricca fece in un bar sul lungomare, a sangue freddo, subito dopo il raid nel centro storico.
Ma il pentito ha aggiunto ulteriori tasselli. Lui, con una sfilza di precedenti alle spalle maturati sin da quando era minorenne (rapine, estorsioni, reati di armi e droga) avrebbe reclutato due rom di Catanzaro, Cosimo Berlingieri e Cosimo Damiano Passalacqua, e gli altri per quello che doveva essere, a suo dire, un avvertimento. Non era il vero obiettivo, Tersigni. Ecco perché il pentito avrebbe deciso di collaborare con la giustizia: «Il fatto mi ha colpito nonostante i miei lunghi trascorsi in carcere perché conoscevo la famiglia della vittima e non era mia intenzione procurare loro questo dolore».
Per evitare un coinvolgimento diretto, Oliverio decise di avvalersi dei due catanzaresi conosciuti in carcere. Fu utilizzata, nonostante le sue “perplessità”, una pistola calibro 7. Le perplessità erano legate sia al fatto che l’arma era nuova e sia perché lui avrebbe preferito un fucile a pallini che non avrebbe avuto conseguenze nefaste. Il fatto è stato comunque qualificato giuridicamente come omicidio perché Oliverio era consapevole del rischio che assumeva.
In Cassazione gli imputati erano difesi dagli avvocati Aldo Truncè, Gregorio Viscomi, Mario Prato, Alessio Spadafora; le parti civili erano rappresentate dall’avvocato Nuccio Barbuto, che ha ottenuto il risarcimento da quantificare in separata sede.
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