Il recupero dei cadaveri
3 minuti per la letturaLa Corte d’Assise di Catanzaro valorizza le «strane sensazioni» di Saverio Manfreda, che trovò i corpi di padre e figlio e reclutò la medium
PETILIA POLICASTRO – «Ogni volta che passavo là mi si alzavano i peli delle braccia». Strane sensazioni. Sono quelle che provava Saverio Manfreda, al quale si deve il rinvenimento dei corpi di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio, scomparsi nel nulla a Pasqua 2019, trovati nel settembre dello stesso anno a Mesoraca, in un burrone nella località Caravà.
Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise di Catanzaro ha disposto la condanna all’ergastolo nei confronti del petilino Pasquale Buonvicino, di 56 anni; a 30 anni di reclusione per il figlio Salvatore Emanuel Buonvicino, di 24 anni; a 27 anni per Pietro Lavigna, di 54 anni, di Mesoraca, l’unico imputato che era ancora a piede libero, per il quale è stato disposto anche l’arresto, eseguito in aula. La Corte presieduta da Alessandro Bravin valorizza anche la testimonianza dell’uomo, la cui «incessante attività di ricerca» è stata condotta «in modo trasparente».
I giudici ricordano anche che «alla disperata ricerca dei congiunti, i Manfreda si erano rivolti anche alla sedicente medium Renata Soli che aveva confermato l’intuizione familiare». «Sono stata battuta da Saverio Manfreda, forse il dio è lui», aveva ammesso la medium in udienza, dopo aver esordito in questi termini: «Non sono un dio ma ho poteri che voi non avete».
La sottolineatura della “trasparenza” di Saverio Manfreda, fratello di Salvatore e figlio di Rosario, balza all’attenzione tanto più che i difensori degli imputati avevano «revocato più volte in dubbio» l’affidabilità del teste, «fautore di gran parte dei ritrovamenti rilevanti ai fini di indagine, non ultimo quello dei due cadaveri», come se potesse «celare agli investigatori le ragioni delle sue conoscenze sì da adombrare in qualche misura il coinvolgimento nei fatti».
Nessun dubbio sulla trasparenza perché, a parte la «logica» esigenza di ritrovare i familiari dispersi, i giudici ricordano che l’uomo aveva costituito anche squadre di volontari che perlustravano la zona impervia in cui i corpi furono recuperati e sulle cui tracce i parenti delle vittime erano stati messi dopo la visione dei filmati diffusi in occasione dell’arresto degli imputati.
Movente del duplice omicidio, secondo l’accusa, rappresentata anche in aula dal pm Alessandro Rho, contrasti per confini di terreni tra allevatori. L’arma utilizzata dai killer è probabilmente un fucile dai colpi del quale Salvatore Manfreda, in particolare, fu raggiunto al capo, poco distante dal luogo in cui furono ritrovati i corpi, nei pressi dell’azienda dei Manfreda, che erano andati a dar da mangiare agli animali, perfino la domenica di Pasqua.
L’inchiesta verte sulle immagini registrate da impianti di videosorveglianza che riprendono un corteo di quattro auto, quelle dei tre imputati e la Ford “Maverick” degli scomparsi, rinvenuta bruciata nella località Caravà. Secondo l’accusa, gli imputati, compiendo manovre anomale a mo’ di scorta, avrebbero abbandonato i loro poderi per raggiungere luoghi che nulla avevano a che fare con la loro attività lavorativa, ovvero l’area in cui fu trovata carbonizzata l’auto delle vittime, su cui peraltro fu avvistato all’andata Pasquale Buonvicino che, al ritorno, era sulla Panda del figlio. Nel materiale probatorio è confluita anche la minaccia «Siete tre bianchi che camminano» che Pasquale Buonvicino avrebbe rivolto a Rosario Manfreda per uno sconfinamento di vacche.
«L’agguato – scrivono i giudici dopo aver ripercorso la complessa istruttoria – era stato preceduto da minacce frutto di consolidati rancori nonché dall’evidenza di riunioni operative per individuare e pianificare luogo di esecuzione e di occultamento dei cadaveri. I tre imputati – aggiungono – conoscevano bene le abitudini della vittima, gli orari di lavoro, le dinamiche degli spostamenti… avevano predisposto l’arma ed il luogo di occultamento della stessa, mai ritrovata».
Alla richiesta di condanna si erano associati gli avvocati di parte civile Walter Parise, Pietro Pitari e Giovambattista Scordamaglia. I difensori degli imputati, gli avvocati Francesca Buonopane, Saverio Loiero, Sergio Rotundo, Gregorio Viscomi, hanno sostenuto che il processo è meramente indiziario e che buona parte degli indizi provengono da uno stretto congiunto delle vittime.
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Ho assistito di persona ad alcune udienze ed alle arringhe dei difensori e devo dire che non mi trovo d’accordo sul fatto che si tratti di un processo indiziario in quanto tutti gli indizi certi (quelli materiali) sono stati forniti e riferiti da Saverio Manfreda.
E’ vero che aveva formato delle squadre di ricerca, ma dovremmo chiederci, appunto per questo: come mai durante le ricerche non si trovò nulla, nemmeno una chiazza di sangue. mentre quando si trovava da solo… pouf! apparivano, come per magia, vari indizi. E non si tratta di piccolezze, si tratta di indizi che nemmeno i carabinieri o le unità cinofile riuscirono a trovare. Cosa dovremmo dedurre? Che chi partecipò alla ricerca era orbo o distratto evidentemente? Dubitare delle capacità investigative delle forze dell’ordine o dubitare del Manfreda, della sua “genuinità”? Consideriamo pure il fatto che durante il processo ci furono delle verità nascoste, venute fuori in seguito alle intercettazioni del Manfreda, delle sorelle e della moglie di una delle vittime.E’ tutto agli atti, ma il prosciutto sugli occhi ed il cerume nelle orecchie fanno sì che, chi di dovere, non veda oltre il proprio naso.
Per quanto riguarda il commento della medium Soli Renata, disse molto più riguardo a questo caso, ma al giudice sembrò più divertente evidenziare la frase sarcastica che fece riguardo a Saverio Manfreda “a quanto pare lui è un Dio più di me”. Riferito al fatto che quella mattina sembrava quasi aver inscenato il tutto facendo credere che fosse stata la medium a dare indicazioni, quando in realtà il Saverio si recò sul posto ancor prima della risposta della stessa! Come se già sapesse dove andare. sempre da solo!
Qui non è menzionato, ma anche il cellulare del fratello fu trovato da lui. Sugli stessi passi dello zio, al quale era sfuggito, guarda caso a lui non scappa niente, trova il cellulare sull’erba, lì in vista. Eppure lo zio, passato prima, non lo vide! Ma sono dettagli! Dettagli come quello che il cellulare non fu attenzionato dagli inquirenti, non ritennero importante analizzarne il contenuto. Cosa che fece il ct della difesa, che vi trovò interessanti indizi sulla vita privata della vittima. Ovviamente nemmeno su consiglio del ct furono presi in considerazione i messaggi e le telefonate ricevute su quel cellulare.
Le indagini sono state fatte a senso unico, come il caso di Erba, si prende una persona con la quale aveva avuto degli alterchi e si indaga solo su di lei.
Inoltre mi chiedo, chi ha avvistato Buonvicino Pasquale alla guida della vettura delle vittime, si vede nella foto? Possiamo vederlo, giusto per poter accusarlo con convinzione.
Se scrivo questo è perchè, mi sto interessando ai casi di ingiustizia in Italia, e sono in troppi a scontare una pena non loro. Mi auguro che non siano altri 3 Zuccheddu o Gulotta, perchè un ragazzo di 24 anni non potrà uscirne indenne.
Signor Antonio Anastasi, il suo articolo mi è piaciuto, è stato evidenziato tutto il marcio del pregiudizio sia da parte degli avvocati difensori nei confronti di Saverio Manfreda, sia da parte dei giudici riguardo agli imputati. Gli uni non accettano che un familiare possa avere dei super poteri e perciò investigare meglio dei nostri eroi in divisa e dei loro amici a 4 zampe, gli altri si basano sul presupposto che una minaccia (che non si sa nemmeno sia stata realmente fatta, visto che anche riguardo a questa cosa ci furono 3 versioni differenti da 3 familiari delle vittime!) avvenuta presumibilmente 3 anni prima, sia stata messa in atto dopo tempo, così, senza altri litigi nel corso degli anni (detto dai familiari delle vittime!)