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Il recupero dei cadaveri

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La Corte d’Assise di Catanzaro valorizza le «strane sensazioni» di Saverio Manfreda, che trovò i corpi di padre e figlio e reclutò la medium

PETILIA POLICASTRO – «Ogni volta che passavo là mi si alzavano i peli delle braccia». Strane sensazioni. Sono quelle che provava Saverio Manfreda, al quale si deve il rinvenimento dei corpi di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio, scomparsi nel nulla a Pasqua 2019, trovati nel settembre dello stesso anno a Mesoraca, in un burrone nella località Caravà.

Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise di Catanzaro ha disposto la condanna all’ergastolo nei confronti del petilino Pasquale Buonvicino, di 56 anni; a 30 anni di reclusione per il figlio Salvatore Emanuel Buonvicino, di 24 anni; a 27 anni per Pietro Lavigna, di 54 anni, di Mesoraca, l’unico imputato che era ancora a piede libero, per il quale è stato disposto anche l’arresto, eseguito in aula. La Corte presieduta da Alessandro Bravin valorizza anche la testimonianza dell’uomo, la cui «incessante attività di ricerca» è stata condotta «in modo trasparente».

I giudici ricordano anche che «alla disperata ricerca dei congiunti, i Manfreda si erano rivolti anche alla sedicente medium Renata Soli che aveva confermato l’intuizione familiare». «Sono stata battuta da Saverio Manfreda, forse il dio è lui», aveva ammesso la medium in udienza, dopo aver esordito in questi termini: «Non sono un dio ma ho poteri che voi non avete».

La sottolineatura della “trasparenza” di Saverio Manfreda, fratello di Salvatore e figlio di Rosario, balza all’attenzione tanto più che i difensori degli imputati avevano «revocato più volte in dubbio» l’affidabilità del teste, «fautore di gran parte dei ritrovamenti rilevanti ai fini di indagine, non ultimo quello dei due cadaveri», come se potesse «celare agli investigatori le ragioni delle sue conoscenze sì da adombrare in qualche misura il coinvolgimento nei fatti».

Nessun dubbio sulla trasparenza perché, a parte la «logica» esigenza di ritrovare i familiari dispersi, i giudici ricordano che l’uomo aveva costituito anche squadre di volontari che perlustravano la zona impervia in cui i corpi furono recuperati e sulle cui tracce i parenti delle vittime erano stati messi dopo la visione dei filmati diffusi in occasione dell’arresto degli imputati.

Movente del duplice omicidio, secondo l’accusa, rappresentata anche in aula dal pm Alessandro Rho, contrasti per confini di terreni tra allevatori. L’arma utilizzata dai killer è probabilmente un fucile dai colpi del quale Salvatore Manfreda, in particolare, fu raggiunto al capo, poco distante dal luogo in cui furono ritrovati i corpi, nei pressi dell’azienda dei Manfreda, che erano andati a dar da mangiare agli animali, perfino la domenica di Pasqua.

L’inchiesta verte sulle immagini registrate da impianti di videosorveglianza che riprendono un corteo di quattro auto, quelle dei tre imputati e la Ford “Maverick” degli scomparsi, rinvenuta bruciata nella località Caravà. Secondo l’accusa, gli imputati, compiendo manovre anomale a mo’ di scorta, avrebbero abbandonato i loro poderi per raggiungere luoghi che nulla avevano a che fare con la loro attività lavorativa, ovvero l’area in cui fu trovata carbonizzata l’auto delle vittime, su cui peraltro fu avvistato all’andata Pasquale Buonvicino che, al ritorno, era sulla Panda del figlio. Nel materiale probatorio è confluita anche la minaccia «Siete tre bianchi che camminano» che Pasquale Buonvicino avrebbe rivolto a Rosario Manfreda per uno sconfinamento di vacche.

«L’agguato – scrivono i giudici dopo aver ripercorso la complessa istruttoria – era stato preceduto da minacce frutto di consolidati rancori nonché dall’evidenza di riunioni operative per individuare e pianificare luogo di esecuzione e di occultamento dei cadaveri. I tre imputati – aggiungono – conoscevano bene le abitudini della vittima, gli orari di lavoro, le dinamiche degli spostamenti… avevano predisposto l’arma ed il luogo di occultamento della stessa, mai ritrovata».

Alla richiesta di condanna si erano associati gli avvocati di parte civile Walter Parise, Pietro Pitari e Giovambattista Scordamaglia. I difensori degli imputati, gli avvocati Francesca Buonopane, Saverio Loiero, Sergio Rotundo, Gregorio Viscomi, hanno sostenuto che il processo è meramente indiziario e che buona parte degli indizi provengono da uno stretto congiunto delle vittime.

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