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Il luogo dell'omicidio di Rocco Castiglione

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ROCCABERNARDA (CROTONE) – Nonostante lo squillo che non fece per avvisare i killer, il pentito di ‘ndrangheta Tommaso Rosa è indagato comunque per l’omicidio di Rocco Castiglione e il tentato omicidio del fratello Raffaele. Il concorso materiale non viene meno, secondo i pm Antimafia, avendo Rosa partecipato alle riunioni per l’agguato e avendo svolto il ruolo di palo. Non fece lo squillo perché la vittima predestinata non era da sola, ma i killer entrarono in azione comunque, contrariamente a quanto era stato deciso dal clan.

Parliamo del fatto di sangue per il quale, in primo grado, furono inflitti dalla Corte d’Assise di Catanzaro ergastoli per il boss Antonio Bagnato, Antonio Marrazzo e Antonio Cianflone, e condanne a 30 anni di carcere per Michele Marrazzo e a 12 anni al pentito Domenico Iaquinta. Proprio oggi prosegue con la requisitoria in processo d’Appello. Nelle carte dell’inchiesta che ha portato a tre arresti per il monopolio sugli appalti del Comune, ci sono anche elementi sull’agguato del maggio 2014. A fare il nome di Rosa, e a raccontare dell’episodio dello squillo mancato, è stato il collaboratore di giustizia Iaquinta, pentito dopo l’arresto nell’operazione anti ‘ndrangheta Trigarium: «Partecipò all’omicidio con il ruolo di palo anche Rosa Tommaso detto Tommy Tommy; ciò premesso descrivo le modalità del fatto: la mattina ci portammo sul posto con l’Apecar di Cianflone io, Antonio Marrazzo e il Cianflone. Lasciammo l’Apecar nel tragitto fino a quando era possibile utilizzare detto veicolo. Quindi scendemmo a piedi, prendemmo le armi dal luogo in cui le avevo nascoste e ci appostammo. Ricordo che il Marrazzo era seduto su una grossa pietra che avevo collocato nei pressi del luogo di appostamento. Avevamo una falce (che poi è stata sequestrata) con la quale preparammo al meglio il luogo di apposta. Rosa Tommaso, che si era portato nei pressi dell’officina Venturino, ci avrebbe avvisato telefonicamente del passaggio dell’auto dei Castiglione. Devo precisare che il Bagnato ci raccomandò di non fare nulla nel caso in cui ci fossero in macchina donne e bambini. Secondo gli accordi il Rosa ci avrebbe dovuto avvisare con uno squillo allorquando il Castiglione fosse in auto da solo. Così non fu, nel senso che non ci avvisò, perché dapprima nel veicolo – che vedemmo passare all’andata – erano presenti altre persone».

Rosa aveva attivato, tramite un suo prestanome, quattro giorni prima del delitto, due schede sim, che sarebbero state utilizzate esclusivamente per l’agguato. Vedendo che l’obiettivo non era da solo, non chiamò. Tuttavia, i killer commisero comunque l’agguato, ferendo anche il fratello della vittima che era bordo dell’auto. La dinamica dei fatti raccontata da Iaquinta coincide con la versione di Rosa, che conferma di aver partecipato al summit nei pressi dell’abitazione del boss. «Bagnato mi fece presenziare, ed in quell’occasione conobbi le sue intenzioni, in particolare che Rocco Castiglione doveva essere freddato. Specificò che solo lui doveva essere attinto e che, nel caso di arresto del Bagnato, era necessario uccidere anche Raffaele Castiglione, zio di Rocco; questo perché erano i personaggi più autorevoli della cosca Castiglione… Quando Iaquinta mi disse di attivare due schede, nel momento in cui gliele consegnai, mi spiegò che servivano per l’omicidio di Rocco Castiglione. Una decina di giorni prima dell’omicidio Bagnato mi disse che avrei dovuto fare un appostamento presso l’ex mobilifìcio di Pulerà, dove mi sarei nascosto. Non so dire chi mi avrebbe fatto entrare, ma lo avrei appreso nell’eventualità mi fossi recato. Quando Bagnato mi disse di fare l’appostamento, io lo assecondai, ma qualche giorno dopo, mi portai al policlinico di Germaneto dove fui ricoverato per una settimana circa per problemi cardiaci. In questo modo evitai di ottemperare all’ordine di Bagnato, senza che lui potesse punire. Dopo che fui dimesso, fìnsi di essere ancora ricoverato e soggiornai nell’albergo di Cropani Marina, vicino al bar tabacchi sulla statale 106».

Rosa rischia comunque un processo per il fatto di sangue. «Quel che rileva – secondo i pm Antimafia – è la mens che egli aveva al momento in cui teneva il contegno materiale, cioè quando si posizionava a mo’ di vedetta, stato mentale sicuramente caratterizzato da un chiaro animus necandi».

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