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La foto segnaletica di Matteo Messina Denaro nel giorno dell'arresto

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Le rivelazioni del collaboratore di giustizia De Castro sul collegamento tra le cosche di ‘ndrangheta di Cirò e il super boss Matteo Messina Denaro

CIRÒ MARINA (CROTONE) – Uno degli elementi di raccordo tra il “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo e l’ex latitante Matteo Messina Denaro, scomparso di recente, è stato svelato dal pentito Emanuele De Castro, ex capo società dell’articolazione lombarda della cosca Farao Marincola di Cirò. Il figlio del collaboratore di giustizia, Salvatore De Castro, come documentato da un servizio dei carabinieri del Ros di Milano, il 14 giugno 2014, avrebbe raggiunto l’aeroporto di Milano Malpensa, dove incontrò Rosalia Messina Denaro, sorella del defunto boss stragista, che accompagnò al carcere di Voghera, dove era detenuto lo stesso Emanuele De Castro insieme a Francesco Guttadauro, nipote dell’ex latitante Messina Denaro.

La circostanza è oggetto di un interrogatorio reso dal collaboratore di giustizia nel 2019. Esponenti anche di rilievo della ‘ndrangheta lombarda erano di origini siciliane, del resto, e a parte De Castro si può ricordare il caso di Stefano Sanfilippo, capo del “locale” di Rho. Lo sottolineano gli inquirenti che hanno condotto nei giorni scorsi l’operazione “Hydra”, contro il presunto sistema mafioso lombardo che, secondo la ricostruzione dei carabinieri e della Dda di Milano, rappresenta un unicum nella storia della criminalità organizzata italiana anche se, ad avviso del gip Tommaso Perna, la confederazione orizzontale tra le tre organizzazioni criminali non è provata.

In particolare, a proposito della vicinanza tra esponenti della ‘ndrangheta ed esponenti di Cosa Nostra, gli inquirenti citano proprio il caso De Castro. Siciliano d’origine, viene affiliato negli anni ‘90 al “locale” di Legnano e Lonate Pozzolo, del quale scala i vertici sino a divenire il braccio destro di Vincenzo Rispoli, il boss, attualmente detenuto, nipote di Giuseppe Farao, il mammasantissima a capo della cosca di Cirò: c’è un evento, insomma, che lega la figura di De Castro al superlatitante Messina Denaro la cui ombra aleggia ripetutamente nel corso dell’inchiesta. «Era nato un ottimo rapporto tra me e Francesco Guttadauro, nipote del latitante e detenuto anch’egli presso la stessa struttura carceraria – ha raccontato De Castro agli inquirenti lombardi – Ricordo in particolare che prima del suo arrivo presso il carcere di Voghera era detenuto Giuseppe Grigoli, proprietario all’epoca dei supermercati Despar in Sicilia, che era stato arrestato in quanto ritenuto prestanome del latitante. Quest’uomo era all’interno del carcere ritenuto un “infame”, tant’è vero che stava sempre con i napoletani e non con i siciliani». Il riferimento è, dunque, al prestanome Grigoli, una delle galline dalle uova d’oro di Messina Denaro. «Trattandosi di persona anziana, e siciliana, ritenni di intervenire, chiedendo a lui stesso spiegazioni su quanto accaduto e sulle voci correnti – aggiunge il collaboratore di giustizia – Grigoli mi spiegò che le dichiarazioni rese successivamente all’arresto erano state in realtà previamente concordate con i soggetti nel cui interesse agiva. Una volta conosciuto Francesco Guttadauro, spiegai a lui la situazione di Grigoli e lui se ne fece personalmente carico dicendo che l’avrebbe risolta».

De Castro spiega anche il legame col nipote del super boss e perché inviò il figlio all’aeroporto per ricevere Rosalia Messina Denaro. «Durante la codetenzione si era creato un rapporto amicale con Guttadauro, che sapevo essere il nipote “del cuore” di Matteo Messina Denaro e anche per questo ho ritenuto di mettermi a disposizione per le necessità della moglie (non ero a conoscenza che il colloquio sarebbe avvenuto anche con la sorella del latitante), per rispetto nei confronti dello stesso. […] Ricordo che Guttadauro mi aveva rappresentato le difficoltà della moglie di arrivare a Voghera perché non vi era mai stata e io mi offrii di dare il contatto telefonico con mio figlio Salvatore, che l’avrebbe accompagnata e portata presso la struttura carceraria».

Numerosi, nel corso delle conversazioni intercettate, riconducibili, tra l’altro, ad esponenti delle tre diverse componenti mafiose – Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra – sono i riferimenti all’ex latitante Messina Denaro e non è un caso che uno dei più attivi fautori del “consorzio” lombardo fosse Massimo Rosi, reggente del “locale” di Legnano e Lonate Pozzolo subentrato proprio a De Castro. L’input all’inchiesta lo forniscono proprio le rivelazioni di De castro, del resto. Queste “acquisizioni trasversali”, come le chiamano gli inquirenti, troverebbero peraltro riscontro nelle condotte degli indagati che hanno partecipato a riunioni con familiari o rappresentanti dell’ex latitante addirittura anche a Campobello di Mazara dove, nel bar San Vito, a due passi dal “covo”, si tenne un incontro. Il bar che era frequentato da Messina Denaro e dai suoi fedelissimi si trova a un centinaio di metri dall’abitazione in cui il boss viveva nell’ultimo periodo della sua fuga. Gli incontri, soprattutto quelli ai quali ha partecipato Antonio Messina, avvocato ritenuto molto vicino all’ex latitante, a pochi metri dal covo, assumono, dal punto di vista degli investigatori, un rilievo enorme perché confermerebbero che Messina Denaro fosse informato delle operazioni finanziarie gestite dal “sistema mafioso lombardo”. Il tramite era Paolo Errante Parrino, esponente di punta della componente siciliana quale rappresentante del mandamento di Castelvetrano, il feudo di Messina Denaro, la cui proiezione al Nord è soprattutto ad Abbiategrasso e dintorni.

Nella Bassa milanese, al confine col Ticino, l’area dell’Abbiatense, limitrofa a quella del Legnanese meta dell’esodo dei Bad Boys cirotani, è caratterizzata dalla presenza, ormai radicata, di una «nutrita (e dal punto di vista della rilevanza mafiosa anche qualificata) presenza di soggetti trapanesi e castelvetranesi», osservano gli inquirenti. Ad Abbiategrasso si è costituita, ormai da qualche anno, un’associazione di castelvetranesi che organizza eventi ed attività ludiche e sociali. Presidente onorario dell’associazione l’avvocato Giovanni Bosco, cancellato per irreperibilità dal 2016 dall’ufficio Anagrafe del Comune nonostante partecipi ad eventi e manifestazioni di vario genere che coinvolgono anche rappresentanti dello stesso ente locale e nonostante abbia nel centro del Milanese uno studio legale. Emigrato da Castelvetrano, è stato anche consigliere comunale per una lista civica dal 2007 al 2012; si è presentato alle elezioni amministrative del 2012 con la “Lista Bosco”, che sosteneva il sindaco uscente Roberto Albetti poi non eletto ma che ora, dopo la tornata elettorale amministrativa del 2017, è vice sindaco nella Giunta guidata da Cesare Nai attualmente in carica. Il legale è fratello di Antonina Bosco, moglie di Errante Parrino detto “zio Paolo”, una delle figure centrali nell’inchiesta: castelvetranese di origine, già condannato per associazione mafiosa in via definitiva, sarebbe il legame con Messina Denaro anche per motivi parentali. La moglie di Errante Parrino è cugina di Gaspare Como, quest’ultimo coniugato con Bice Maria Messina Denaro, altra sorella dell’ex latitante.

Ma torniamo a Rosalia Messina Denaro, nei confronti della quale De Castro si era messo a disposizione, moglie di Filippo Guttadauro, pezzo grosso di Cosa Nostra condannato insieme al boss stragista. Il figlio Francesco, nipote di Matteo Messina Denaro e compagno di cella di De Castro, avrebbe peraltro incontrato il latitante a Trapani. “Iddu”, lo chiamavano Antonio Messina e Giuseppe Fidanzati, referente nel Milanese dell’omonimo clan palermitano da sempre schierato coi corleonesi, che di quell’ incontro parlavano in un bar a Peschiera Borromeo il 5 marzo 2017. Del resto, Francesco Guttadauro era il “nipote del cuore” dell’ex latitante Messina Denaro, come racconta anche l’ex capo della filiale lombarda del “locale” di Cirò.

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