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ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Quel signore anziano che si presentava con la coppola e parlava «dieci lingue» aveva in mano funzionari della Mauritania, perfino generali, e grazie anche ai suoi contatti gli indagati erano pronti ad avvalersi della doppia nazionalità per sfruttare la legislazione opaca di un Paese che vieta l’estradizione. Uno degli indagati che spicca, se si spulciano le carte dell’inchiesta della Dda di Milano che hanno portato all’operazione “Hydra”, è Alfonso Giardino di Isola Capo Rizzuto. «Con una telefonata gli mandavano gli autotreni di diesel a questo qui, lavorava alla dogana. Era una specie di servizi internazionali, questo “cristianeddu”, ma un cristiano serio era Alfonsino», dirà di lui, dopo la sua morte, Gioacchino Amico, ritenuto il fulcro dell’organizzazione nell’area milanese.
Già, perché l’anziano Giardino parlava «dieci lingue» e il consorzio mafioso a quanto pare mandava lui in Mauritania a «combattere in Africa». Amico descriveva il profilo di Giardino in questi termini nientemeno che a Giuseppe Fidanzati, della famiglia palermitana storicamente molto vicina ai corleonesi, e a Emanuele Gregorini, emissario del clan camorristico dei Senese stanziato a Roma. «Conosceva a tutti lui! Tutti… alle dogane, i generali di dogana, tutti, tutti sotto di lui erano! Tutti! Tutti! io gli ho visto fare a ‘sto vecchietto cose al telefono impressionanti».
Nel corso delle indagini sono emersi vari settori economici nei quali gli indagati avrebbero fatto convergere i loro interessi criminali. Tra questi ci sarebbe anche l’importazione di ingenti quantitativi di ferro, acciaio e gasolio dal continente africano. In particolare, il siciliano Amico sarebbe entrato in contatto con Alfonso Giardino, di Isola Capo Rizzuto, titolare della società “Ets Mauritano de Poisson et Divers”, con sede legale in Mauritania ed esercente commercio all’ingrosso di prodotti della pesca congelati e surgelati diversi. Contestualmente, il palermitano Pietro Mannino sarebbe entrato in contatto col romano Walter Tani, titolare di una ditta individuale per la mediazione di combustibili e metalli. Il “sistema mafioso lombardo” avrebbe così progettato l’importazione dall’Algeria di ferro e acciaio reperito ad un importo di 220 dollari a tonnellata da rivendere ad un importo di 245 dollari a tonnellata, con un guadagno di 25 dollari a tonnellata, di cui 15 destinati a personaggi legati a Tani e 10 dollari agli indagati “lombardi”, mentre Giardino e il broker Fabio Antenucci, intermediario per la Svizzera, avrebbero guadagnato 5 dollari a tonnellata proveniente direttamente dall’Africa. Gli accordi prevedevano la fornitura di 30mila tonnellate al mese con un guadagno di 300mila euro al mese. Trattative monitorate dagli inquirenti che intercettano un summit a Dairago nel corso del quale Giardino, tra l’altro, afferma che per il prezzo del gasolio si stanno aspettando le oscillazioni della Borsa di New York, poi dice di poter chiamare il generale “Aziz” anche “domani mattina” e discorre in lingua francese mentre lo chiamano il telefono.
Al summit con Giardino, parente dei Giardino che a Verona hanno costituito un “locale” di ‘ndrangheta, proiezione veneta della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, e col broker Antenucci, c’era il gotha del presunto – il gip Tommaso Perna non ravvisa l’associazione mafiosa – consorzio tra mafie. Per la componente siciliana Gioacchino Amico, Antonio Galioto, Raimondo Orlando e Pietro Mannino, per la componente ‘ndranghetistica il sanlucoto Antonio Romeo e Massimo Rosi e Nicodemo Rispoli quali referenti del “locale” di Legnano e Lonate Pozzolo, articolazione della cosca di Cirò. Giardino è morto prima che scattasse l’operazione e le trattative segnano così un’interruzione. Ma era proprio lui a dire che avrebbe potuto avere l’autorizzazione della Mauritania e quella di entrata in Russia. «Faccio fare io dalla Mauritania… che faccio fare il giro di mare sotto per mandarla in Russia…la nave… ce l’ho le navi io, abbiamo navi speriamo che… cominciamo con poca roba, cominciamo con 10 mila o 20 mila». Al termine del summit, “Alfonsino”, come la chiamano con deferenza, rassicura tutti: «per quanto riguarda tutto quello che avete detto… non ci sono problemi… bisogna trovare il sistema come dobbiamo essere pagati noi… che poi l’altro sistema è quando andiamo là al gruppo… come gli ho detto che… prima di fare i contratti, prima di firmare bisogna vedere la merce… e caricare anche una campionatura di fronte a noi…è stato già fatto con gli Arabi questo… loro mi hanno detto che non c’è nessun problema.. quando vogliono venire, gli mandiamo un invito e… voilà…mi mandano l’invito, mandano anche come si chiama».
Proprio per gli agganci istituzionali in Paesi dalla legislazione opaca gli inquirenti lombardi rilevavano, per giustificare le esigenze cautelari – non riconosciute dal gip – il pericolo di fuga. Giardino stava progettando di assumere fittiziamente Orlando nella sua società di surgelati in Mauritania, ma secondo la Dda milanese era una strategia di fuga. Un progetto di latitanza. «Io sottoscritto Giardino Alfonso, nato a Isola Capo Rizzuto, tale giorno così così… assumo nella mia società come sopra». L’incarico sarebbe stato quello di direttore commerciale dell’impresa che si occupa di vendita di prodotti ittici, freschi e surgelati, con sede a Nouakchott, capitale della Mauritania. «Con vitto e alloggio a carico della sopra indicata società». La lettera di assunzione sarebbe stata presentata presso la Questura di Agrigento per accelerare l’iter per il rilascio del passaporto.
In Mauritania, invece, la pratica sarebbe stata curata da un «comandante della Gendarmeria». «Già parlato ieri». Ecco perché Amico e Mannino discutono della possibilità di ottenere la residenza in Mauritania e il passaporto di quella Nazione, e sfruttando lo stesso escamotage proposto da Giardino ad Orlando, al fine di sottrarsi ad eventuali provvedimenti cautelari. Mannino non vedeva l’ora. «La residenza, la tessera, il passaporto e residenza direttamente là, ora me la voglio fare pure io, perché… minchia… ho letto la legislazione della Mauritania… se ti devono fare qualche cosa direttamente, non c’è estradizione, minchia ti dico hanno un pacchetto tutto completo». Che Giardino si stesse prodigando con le autorità della Mauritania sarebbe confermato da successive intercettazioni nel corso delle quali l’anziano dalle 10 lingue e con la coppola parlava di “Generale Diallo” e “Giacobbe” detto “Gu Gu”, indicato quale “capo” della polizia mauritana, per il rilascio (dietro pagamento di un corrispettivo) del certificato di residenza e del passaporto con doppia cittadinanza in favore di Amico e Mannino. Giardino lo spiegava al broker svizzero Antenucci. «Io ho già parlato con chi dovevo parlare non c’è problema…si può fare tutto…dovete fare prima la casa di residenza…quando è il momento io prendo una casettina così… poi la lasciamo dopo sei sette mesi… quindi settimana prossima abbiamo ‘sta situazione, dovremmo andare là noi dopo…questo è il capo … il grande capo della Polizia, qui è in borghese con Gu Gu…no il codice fiscale di là non c’è bisogno di queste cose…basta una fotografia l’indirizzo e tutto e dove abita… per metterlo, per fare il passaporto stesso alla carta d’identità… ho parlato con il generale e il generale mi ha detto chiama Giobba il comandante della polizia che lui solo che può fare queste cose, perché per farlo a uno straniero è complicato, allora dobbiamo fare prima la residenza ….. e poi subito bisogna fare il passaporto…mettiamo la doppia nazionalità italiana e della Mauritania» diceva l’anziano facendo anche riferimento alla sua conoscenza delle lingue.
Antenucci poi afferma che il compenso per i funzionari mauritani era di 30mila ouguiya, approssimativamente corrispondenti a 760 euro, mentre altrettanti ne sarebbero serviti per le spese di locazione di una casa. L’isolitano assicurava poi che si sarebbe impegnato per assumere Amico e Mannino. «La carta d’identità …il contratto di lavoro lo faccio con la mia situazione …possiamo già farla la carta che voi lavorate presso la società in Mauritania di Giardino Alfonso».
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