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Cirò Marina, la sentenza nei confronti dei capi del “locale” di ’ndrangheta: Un ergastolo e un’assoluzione per l’omicidio di Vincenzo Pirillo

CIRÒ MARINA – Una condanna all’ergastolo per Cataldo Marincola e l’assoluzione per Silvio Farao per l’omicidio di Vincenzo Pirirllo. Queste le decisioni assunte dalla Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta da Alessandro Bravin, nei confronti di due dei capi storici del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò. I due erano imputati nella veste di mandanti dell’omicidio di Vincenzo Pirillo. L’uomo freddato mentre cenava con la sua famiglia nell’affollatissimo ristorante l’Ekò, la sera del 5 agosto 2007 a Cirò Marina. A colpire un commando che ferì, tra gli altri, una bambina che la vittima designata teneva sulle gambe.

Il pm Antimafia Domenico Guarascio aveva chiesto la massima pena per entrambi dopo aver aggiunto a un quadro probatorio già corposo un ultimo tassello, quello fornito dalle rivelazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, Gaetano Aloe, figlio di Nicodemo detto “Nik”, ucciso nel 1987 in un agguato spartiacque perché da allora assunsero il comando i fratelli Giuseppe e Silvio Farao e Cataldo Marincola.

«Ti faccio un bel regalo, te la senti di ammazzare “Cenzo”?». Inizia così la prima “cantata” di Aloe. A lui, su richiesta di Marincola, sarebbe toccato eliminare chi era ritenuto, negli ambienti criminali, l’esecutore materiale dell’uccisione del padre. Un omicidio da compiere come “regalo”. Ecco perché il compito del difensore di Marincola, l’avvocato Sergio Rotundo, è divenuto più difficile. Secondo la ricostruzione proposta da Aloe, sarebbe stato proprio Marincola, allora latitante, che Pirillo incontrò a Cirò Superiore, a incaricarlo formalmente. «Ma tu cos’hai contro di me?». «Niente». «Te la senti di ammazzare Cenzo?» «E come non me la sento».

Accolta, invece, la richiesta del difensore di Silvio Farao, che puntava sui mancati riscontri a dichiarazioni generiche dei pentiti che chiamano in causa il suo assistito. Tra i vari collaboratori di giustizia sentiti, anche Francesco Farao, figlio del capo supremo, Giuseppe Farao. Ma è stato Aloe a introdurre elementi di novità precisando che il commando, composto, oltre che da lui stesso, anche da Franco Cosentino, aveva due pistole, e ricorda ancora che lui indossava un paio di scarpe da tennis blu nuove di cui dovette liberarsi essendo imbrattate del sangue della vittima, aggiungendo, con cinismo criminale, che gli era pure dispiaciuto.

Dopo i funerali, gli diedero «un premio». Un regalo, la possibilità di vendicare il padre, e un premio, l’ammissione formale nella complessa struttura della ‘ndrangheta con un grado alto, quello dello sgarro. «La cerimonia avvenne in un bar. Ma il gruppo sarebbe stato raggiunto da Marincola, che era con dei “ragazzi” di Isola Capo Rizzuto. «E nente, m’ha abbrazzatu».

Pirillo morì in ambulanza durante il tragitto per l’ospedale di Crotone. Fu raggiunto da quattro colpi di pistola sparati dal gruppo di fuoco. I killer raggiunsero il ristorante a bordo di uno scooter e si misero a sparare tra gli avventori scatenando il fuggi fuggi generale. In tutto furono sei le persone ferite dall’esecutore materiale che indossava un casco da motociclista, mentre il complice con tuta e mascherina da imbianchino si soffermava nel locale sulla cui veranda si sparse il terrore tra quanti erano a cena. Almeno due proiettili colpirono Pirillo alla nuca, e subito dopo i sicari, approfittando del panico generale, fuggirono da una porta laterale.

Nel filone processuale che si sta svolgendo col rito abbreviato, che proseguirà con l’esame del pentito Aloe, sono imputati il capo supremo del clan, Giuseppe Farao, e Giuseppe Spagnolo, uno dei plenipotenziari, peraltro cognato del nuovo collaboratore di giustizia.

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