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Contestate anomalie nel diario di bordo, cancellazioni e aggiunte posticce. Perquisite sedi della Guardia costiera

CROTONE – Una vedetta, la 5006 della Sezione operativa navale della Guardia di finanza di Crotone, che, almeno in un determinato momento, sarebbe in porto anziché in cerca di un’imbarcazione stipata di migranti; un operatore che dice che il radar non batte nulla anche se il target era monitorato; anomalie nella redazione del giornale di bordo con fogli mancanti e aggiunte posticce; tracce audio forse cancellate da relazioni di servizio; silenzi e omissioni o presunti tali.

Sono questi i motivi per cui il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crotone, Giuseppe Capoccia, e il suo sostituto Pasquale Festa, a poco più di tre mesi dal tragico naufragio di Steccato di Cutro, con almeno 94 vittime accertate (ma in mare, trascinati chissà dove dalle correnti, si presume ci siano altri sei dispersi) hanno iscritto nel registro degli indagati due ufficiali e un sottufficiale delle Fiamme gialle.

I pm hanno anche disposto perquisizioni presso sedi locali di Guardia di finanza e Capitaneria di porto. Il procuratore non conferma che una perquisizione abbia avuto luogo anche presso uffici di Frontex, l’agenzia europea per il controllo dei confini, indiscrezione che ieri circolava. In particolare, i militari iscritti nel registro degli indagati sono il tenente colonnello Alberto Luppolis, comandante del Roan (Reparto operativo aeronavale) di Vibo Valentia, il luogotenente Antonino Lopresti, in servizio anch’egli presso il Roan di Vibo, il tenente colonnello Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto.

Le perquisizioni sono finalizzate ad acquisire documenti che ancora mancano, tra le carte già vagliate dalla Procura, per fare pienamente luce sui ritardi nei soccorsi e su mancate comunicazioni interforze che sarebbero all’origine di una strage che, con ogni probabilità, si poteva evitare. Ma c’è di più perché, a strage avvenuta, annotazioni potrebbero essere state aggiunte successivamente, forse per eludere eventuali responsabilità. Nelle memorie di computer e cellulari sequestrati potrebbero trovarsi elementi di segno diverso rispetto a quelli forniti ufficialmente e che forse possono essere utili per la ricostruzione dei fatti.

Che il salto di qualità nelle indagini fosse nell’aria, si era capito da qualche settimana perché finalmente si conosce il numero di procedimento, che non è più contro ignoti. Oltre al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al naufragio colposo e alla morte dei migranti come conseguenza di altro reato, ipotesi già perseguite nel procedimento contro cinque presunti scafisti, nell’ambito del quale si sta celebrando l’incidente probatorio per cristallizzare le testimonianze dei superstiti, c’è un’inchiesta parallela. Quella sulle omissioni nei soccorsi. Verte su presunte omissioni d’atti d’ufficio e omicidio colposo plurimo come conseguenza di cooperazione colposa nel naufragio.

Sotto la lente è il livello istituzionale. La stanno conducendo i carabinieri del Reparto operativo di Crotone che per tre mesi hanno lavorato in silenzio, esaminando documenti, filmati, diari di bordo. Non è escluso che altre iscrizioni nel registro degli indagati possano essere fatte a breve, tanto più che altri tre nomi sono omissati nelle carte. Ma, a pochi giorni dalla chiusura del centro di coordinamento dei soccorsi, molti interrogativi sono ancora in piedi. Ecco perché sono scattate le perquisizioni, come si legge in uno dei passaggi principali del decreto eseguito dai militari dell’Arma.

«Rilevato che nella telefonata intercorsa alle ore 23:49 tra l’operatore del Roan della Guardia di Finanza di Vibo Valentia e il capo turno della sala operativa della Guardia Costiera, registrata sul server del Mrsc di Reggio Calabria, l’operatore del Roan, su indicazione dell’Otc di turno, notiziava l’operatore della CP dell’impego della vedetta 5006; in tale conversazione l’operatore della CP riferiva che, sebbene in quel momento non era presente alcuna loro imbarcazione in mare, avrebbe potuto allertare una unità dispiegata presso l’Ucg di Crotone o, in alternativa, presso l’Ucg di Roccella Ionica, ricevendo rassicurazioni da parte dell’operatore della Guardia di Finanza; rilevato che, nonostante quanto riferito alla sala operativa della CP e attestato dall’Otc di turno dall’annotazione redatta del comandante della vedetta 5006, emergeva che la predetta imbarcazione, in quei momenti, lungi dall’essere in navigazione alla ricerca del target, si trovava, in realtà, all’interno del porto di Crotone». Un aspetto che la difesa del comandante del Roan, l’avvocato Pasquale Carolei, ritiene di poter smontare. «La vedetta era agli ormeggi, faceva carburante, era appena uscita e stava per riuscire», dice il legale al Quotidiano.

L’ipotesi dei pm è che le circostanze contenute alle pagine 37, 38, 39 e 40, verificatesi in momenti antecedenti al disastro, quindi in una situazione non di emergenza, siano state annotate successivamente ai fatti. Il documento, infatti, rilevano i pm, «risulta composto di n. 6 (sei) facciate e presenta delle significative anomalie atteso che i fogli non presentano numerazione progressiva».

Nel decreto di perquisizione e contestuale sequestro si fa riferimento a una conversazione tra l’operatore della sala operativa del Roan di Vibo e quello della sala operativa dell’Mrsc (Maritime rescue sub centre) di Reggio Calabria: «Successivamente all’inversione di rotta delle imbarcazioni in uso Guardia di Finanza, tra le ore 03:58:03 e le ore 03:59:38», quindi successivamente anche all’orario indicato dagli operatori, «intercorreva un’ulteriore conversazione tra l’operatore della sala operativa del Roan di Vibo e l’operatore della sala operativa dell’Mrsc di Reggio Calabria (sempre captata sui server della CP) durante la quale, sebbene il target fosse monitorato da circa 24 minuti, l’operatore di sala riferiva: “Anche noi dal radar al momento non battiamo nulla”».

L’intento della Procura è quello di «procedere ad una compiuta ricostruzione del fatto e comprendere le ragioni sottese a simili scelte operative, al ritardo accumulato nell’operazione della Gdf e alla mancata comunicazione della posizione del natante alla Capitaneria di Porto». Gli inquirenti hanno cercato di acquisire le comunicazioni di servizio intercorse tra gli operatori della Guardia di Finanza impegnati nel servizio quella notte ma – si legge nel decreto – «sui server in uso alla Guardia di Finanza, non veniva ritrovata alcuna traccia audio».

Elementi che gettano una luce inquietante, mentre restano irrisolti altri quesiti, su cui si sono appuntati esposti degli avvocati dei familiari delle vittime e di organizzazioni umanitarie. Perché, a fronte della segnalazione giunta dall’aereo Eagle 1 di Frontex delle 23.03 del 25 febbraio del caicco “Summer Love” ormai tristemente noto, non è stato aperto un evento Sar (search and rescue)?. La mail era indirizzata, infatti, anche alla centrale operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto e faceva riferimento a numerose persone sottocoperta, all’assenza di dotazioni di sicurezza, agli oblò aperti in periodo invernale, alla navigazione notturna lungo la rotta balcanica, da trent’anni battuta dai trafficanti, mentre il bollettino meteo prevedeva condizioni del mare in peggioramento. Inoltre, anche se la segnalazione di Frontex dava atto di condizioni di buona galleggiabilità, ora che tutti hanno visto il video si nota chiaramente una linea bassa di galleggiamento, segno evidente della presenza di numerose persone a bordo e di un natante in difficoltà.

Dopo che la Guardia di Finanza comunicava che le condizioni meteomarine rendevano impossibile la navigazione della motovedetta 5006 della Sezione operativa navale di Crotone e del pattugliatore veloce “Barbarisi” del Gruppo Aeronavale di Taranto, perché la Guardia costiera di Reggio Calabria non ha disposto l’uscita in mare delle imbarcazioni cosiddette “inaffondabili” di cui dispone? Cosa è stato fatto tra le 23.03 di sabato e le 4 di domenica, ora in cui è stato segnalato il naufragio ai carabinieri, per monitorare la rotta del caicco? Perché la Capitaneria di porto è giunta sul luogo alle 6.50, ossia quantomeno due ore e mezza dopo il naufragio?

Si parla di ritardi nei soccorsi, ma forse i soccorsi non sono mai stati fatti. I migranti che ce l’hanno fatta, come hanno raccontato anche in aula, a riva ci sono arrivati con le loro sole forze, aggrappandosi a ciò che restava di quel legno spaccatosi in mille pezzi nell’urto contro una secca segnalata da tutte le mappe. Un bimbo di sei anni è morto non per annegamento, ma di freddo, come ha raccontato suo fratello che non l’ha mollato per un attimo mentre erano immersi in acque gelide. Ma è soltanto una delle drammatiche testimonianze dei naufraghi: a riva ci sono arrivati a nuoto, lì hanno trovato soltanto i pescatori di Steccato, che ormai non potevano più salvare vite, ma solo recuperare salme.

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