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La conferenza stampa di Gratteri sull'operazione Malapianta

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La sentenza Malapianta in Appello conferma le condanne per i capi del clan Mannolo ma rispetto al primo grado pene ridotte per i sodali

CUTRO – Pene ridotte di un secolo – da 370 a 270 anni di carcere – nel filone processuale del rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che nel 2019 portò alle operazioni Malapianta e Infectio, contro il clan Mannolo di San Leonardo di Cutro e le sue proiezioni nel Catanzarese e in Umbria.

Dieci le assoluzioni piene disposte nella sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro per gli imputati del processo Malapianta-Infectio, 17 le pene rideterminate o ridotte, 16 quelle confermate. Reggono comunque le due associazioni a delinquere contestate, quella mafiosa e quella finalizzata al narcotraffico, e reggono pertanto le accuse nei confronti degli imputati di maggiore spicco.

SENTENZA D’APPELLO MALAPIANTA, LE POSIZIONI DEI PRESUNTI CAPICLAN

Per Mario e Giuseppe Mannolo, padre e figlio, per esempio, le condanne sono soltanto ritoccate: da 20 anni di reclusione a 19 anni e 3 mesi per il primo, da 19 anni e 10 mesi a 19 anni e 9 mesi per il secondo. Per Pasquale Gentile la pena scende soltanto da 20 anni a 19 anni e 9 mesi.

Confermate, invece, le pene rispettivamente a 20 anni per Fiore Zoffreo e a 18 per Leonardo Zoffreo. Balzano però all’attenzione le assoluzioni, ottenute dall’avvocato Luigi Falcone, di Dante Mannolo (classe ’79) e Fabio Mannolo. E quella, sia pure parziale, di Daniela Mannolo, scagionata dall’accusa di riciclaggio ruotante attorno alla ditta di poste private per gli inquirenti riconducibile al patriarca Alfonso Mannolo, presunto capobastone condannato nel filone del rito ordinario a 30 anni. Sempre l’avvocato Falcone ha ottenuto le assoluzioni di due componenti della famiglia Ribecco, Francesco e Domenico, mentre l’avvocato Luigi Falcone è riuscito a far scagionare Antonio e Giuseppe Costantino.

L’ACCUSA AVEVA CHIESTO LA CONFERMA DI TUTTE LE CONDANNE

Il pm Andrea Buzzelli, applicato anche in Appello al processo al clan che, secondo l’accusa, imponeva il racket ai villaggi turistici della costa jonica ed era dedito al narcotraffico, aveva chiesto la conferma dei 360 anni di carcere inflitti dal gup distrettuale di Catanzaro a 43 imputati nel maggio 2021. In primo grado ci furono anche 17 assoluzioni. Le pene più elevate, quelle inflitte ai plenipotenziari del clan, Mario Mannolo, deputato al narcotraffico, e Fiore Zoffreo, considerato tra gli organizzatori delle estorsioni, vengono, dunque, in buona sostanza confermate.

L’inchiesta, condotta dalla Guardia di finanza di Crotone e dalle Squadre Mobili di Catanzaro e Perugia, fece peraltro innalzare il livello di rischio per il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, tant’è che fu rafforzata la scorta in seguito ai progetti di attentati che trapelavano da alcune intercettazioni.

Nel processo erano costituiti parte civile la Regione Calabria, il Comune di Perugia, il Comune di Cutro, Banca Unicredit, l’imprenditore vicentino Stefano De Gasperi, Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e l’imprenditore proprietario del villaggio stesso (vessato per anni dalla cosca), testimone di giustizia cardine in questa indagine, il lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti: ha fatto da apripista contribuendo a scardinare un sistema ultraventennale, anche perché dopo le prime condanne i titolari di altri impianti turistici, prendendo esempio da lui, hanno denunciato e sono scattati nuovi arresti. Confermata anche la parte della sentenza relativa alle statuizioni civili.

SENTENZA MALAPIANTA, IL PENTIMENTO DI DANTE MANNOLO

Dopo gli arresti del maggio 2019, si era pentito, Dante Mannolo, il figlio del boss, condannato a 9 anni e 4 mesi in primo grado ridotti a 6 anni in appello. In particolare, l’operazione Malapianta, che nel maggio 2019 portò a 35 fermi, mise fine al giogo mafioso imposto dalla cosca su un vasto territorio che da San Leonardo si estende alla fascia jonica catanzarese. Gli inquirenti ritengono di aver dimostrato come il clan, pur dipendente dalla super cosca Grande Aracri, sempre di Cutro, avesse asservito i villaggi turistici del litorale jonico – specie Porto Kaleo e Serené – e potesse vantare ramificazioni operative in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere. Senza dire del dominio incontrastato nel traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e dell’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel Nord Italia.

La mente imprenditoriale era ritenuto proprio Dante Mannolo, e le sue “cantate” sono confluite nelle successive operazioni contro il clan, compresa la più recente “Thomas”, che ha determinato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Cutro, dove nel novembre scorso è stato eletto il sindaco dopo due anni di commissariamento.

L’OPERAZIONE INFECTIO SU DROGA E ARMI CLANDESTINE

L’operazione Infectio, condotta dal Servizio centrale operativo della polizia e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, avrebbe fatto luce, invece, su un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi clandestine, e un’associazione volta alla commissione reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario. Intrecciando rapporti con il clan Commisso di Siderno, boss e gregari avrebbero impiantato in Umbria un lucroso traffico di stupefacenti, rifornendosi da albanesi; avrebbero, inoltre, minato, attraverso attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili.

Il collegio difensivo era composto dagli avvocati Luigi Falcone, Salvatore Rossi, Gregorio Viscomi, Gaetano De Sole, Salvatore Iannone, Mario Prato, Pietro Funaro, Piero Mancuso, Paolo Carnuccio, Mario Nigro, Aldo Truncè, Vincenzo Cicino, Salvatore Staiano, Aldo Cantafora, Francesco Gambardella, Francesco Verri, Luigi Colacino.

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