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L'omicidio di Cataldo Aloisio

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CIRÒ MARINA (KR) – «Ma tu cchi ‘ni voi fa, ci su cinquanta ‘ndranghetisti, picchì ti ci jìra a mentere tu?». «Pe’, ma ‘u sai, m’ha ammazzatu papà». Nel secondo interrogatorio reso dal nuovo pentito di ‘ndrangheta di Cirò Marina, Gaetano Aloe, il focus si sposta sul movente che lo spinge a compiere il delitto di cui si autoaccusa come esecutore materiale. È il 31 marzo 2023.

Soltanto da una decina di giorni Aloe aveva raccontato al pm Antimafia Domenico Guarascio la sua versione dei fatti, nella sua prima “cantata”, sulla morte di Vincenzo Pirillo, assassinato a Cirò Marina nell’agosto 2007 mentre cenava in un ristorante con i familiari (rimase ferita una bimba che la vittima teneva sulle gambe). Pirillo, infatti, è ritenuto negli ambienti criminali l’autore dell’uccisione del boss Nicodemo Aloe, padre del pentito, avvenuta nel 1987, un delitto spartiacque in seguito al quale assunsero il comando del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò gli attuali leader. Giuseppe e Silvio Farao e Cataldo Marincola, imputati, insieme a Giuseppe “Peppe” Spagnolo, per l’omicidio Pirillo.

Ma il vero leader carismatico sarebbe Marincola, appellato, nei racconti di Aloe, come “padrino”. Il pm, come già riferito dal Quotidiano, ha versato le rivelazioni nel processo per la strage al ristorante. Ed è proprio nel secondo interrogatorio che Aloe arricchisce il suo narrato, spiegando meglio il ruolo di mandante di Marincola e svelando particolari su un omicidio collegato, commesso il 27 settembre 2008 davanti al cimitero di San Giorgio su Legnano, quello di Cataldo Aloisio, che voleva vendicare lo zio Pirillo; svelando, anche, una serie di progetti di attentati dei quali era stato incaricato sempre da Marincola. Proprio Marincola, prima che si desse alla latitanza, aveva incontrato Aloe chiedendogli provocatoriamente se avesse qualcosa contro “Cenzo” e contro lui stesso. Poi arrivarono le “ambasciate”.

«Salvatore Siena, Ciccio Castellano, Pino Sestito, si sono recati da mio cognato Spagnolo e anche da Martino Cariati, all’epoca entrambi agli arresti domiciliari, per riferire loro che Marincola voleva l’eliminazione di Pirillo». Spagnolo si opponeva, secondo il pentito, tanto più che, durante la sua gestione del clan, Pirillo gli avrebbe comprato una casa e gli avrebbe elargito una serie di beni, senza mai fargli mancare nulla. Ma Marincola così voleva e rimproverava pure Spagnolo di certe “mancanze” da superare con una prova di fedeltà che sarebbe stata appunto quella di uccidere. Pare che Spagnolo volesse violare i domiciliari per recarsi direttamente da Marincola e farlo “ragionare”. A quel punto Aloe avrebbe deciso di compiere lui il delitto. Spagnolo non era d’accordo, l’altro cognato, Martino Cariati, sì, anzi con lui Aloe aveva convenuto che doveva sparare a Pirillo mentre si trovava a casa dello stesso Cariati. Diverse le strategie a cui si pensò. «’Na vota l’aviamu sparari, ‘na vota l’aviamo affucari».

Alla fine Aloe ottenne l’”autorizzazione” e chiese di potersi appoggiare come complice a Franco Cosentino. Le pistole, due “automatiche” e “una ‘38”, sarebbero state nascoste a casa di una zia di Spagnolo. Mentre uno scooter rubato a Cariati sarebbe stato occultato presso l’abitazione di una sorella di Cosentino. Sarebbe stato Siena, la sera del delitto, ad avvisare Aloe che Pirillo cenava al ristorante. E inizia la vestizione del killer, che rimpiange ancora di aver dovuto buttare, dopo il delitto, delle scarpe da tennis blu con le molle, e ricorda di aver indossato una camicia con le maniche lunghe per nascondere i tatuaggi e di essersi tolto i pantaloncini per mettere dei pantaloni. Poi c’erano i passamontagna realizzati con collant rosa, con i fori all’altezza degli occhi. Anche Luigi Mancuso durante il tragitto precisò ai killer che la vittima designata era al ristorante.

«Abbiamo fatto il giro della piazza col motorino e siamo entrati da una porta laterale… mi sono trovato davanti a Pirillo e gli ho sparato… due o tre colpi… Cosentino si è lamentato… “manco i colpi hai sprecato?”… e ricordo che in quella occasione è scivolato mentre sparava». Dopo l’azione, Cosentino avrebbe riaccompagnato Aloe a casa col motorino e avrebbe portato con sé caschi e collant. E pistole.

Aloe racconta un incontro successivo all’agguato con Marincola che, in un albergo a Isola Capo Rizzuto, lo abbraccia e gli dice: «visto che bel regalo che ti ho fatto?». Evidente che Marincola sapesse del rancore che Aloe provava verso Pirillo che gli aveva ucciso il padre.

Intanto, il nipote di Pirillo, Cataldo Aloisio, «voleva vendicare la morte dello zio, aveva costituito un gruppetto per uccidere Spagnolo». Addirittura pare che Aloisio volesse piazzare una bomba a casa di Spagnolo, additato come il responsabile del delitto Pirillo negli ambienti criminali. Ma Alosio sarebbe stato preceduto dal gruppo dominante. «Non ti preoccupare che me l’haiu vista iu», avrebbe detto Vincenzo Farao ad Aloe. Era appena giunto da Milano.

Poteva scorrere altro sangue. Aloe racconta al pm che alcuni esponenti storici del clan come Giuseppe Cariati e Francesco Amantea lo avevano incaricato di uccidere Luca Frustillo, ritenuto un emergente, perché voleva pentirsi ma era una scusa perché con il suo omicidio avrebbero giustificato il fatto che nella “bacinella”, la cassa comune, c’erano soltanto cinquemila euro e cinque chili di cocaina. «Questa è tutta la ricchezza della ‘ndrangheta a Cirò». Un altro delitto che Aloe ha rischiato di compiere è quello del suo zio Giuseppe Cariati, per via di una relazione “pericolosa”. «Gli avete salvato la vita voi, dottore», dice Aloe rivolgendosi al pm che ha coordinato l’inchiesta che ha portato alla recente operazione “Ultimo atto”, appendice della più vasta operazione “Stige”, condotta dalla Dda di Catanzaro contro la cosca cirotana. Salvo, ovviamente, perché arrestato.

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