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I cantieri della ricostruzione post sisma nel Mantovano

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CUTRO – Dalle “soffiate” di un direttore di banca su probabili attività investigative sulla Bondeno srl, l’impresa riconducibile a Raffaele Todaro, genero del boss di Cutro Antonio Dragone, ucciso nel maggio 2004, al “silenzio connivente” di funzionari pubblici colleghi di suo figlio Giuseppe Todaro, l’architetto esterno che svolgeva funzioni di rup presso i Comuni consorziati del Mantovano ricadenti nel cosiddette cratere sismico, alla “compiacenza” di diversi professionisti e imprenditori coinvolti nel presunto schema criminoso ideato dai parenti dell’ex capo bastone per accaparrarsi i lavori post sisma.

Sono tante le bacchettate inflitte dal gip distrettuale di Brescia Andrea Gaboardi a una vischiosa zona grigia del Nord raccoltasi attorno alle presunte condotte concussive dei Todaro, aggravate, secondo l’accusa, dalla finalità di aver agevolato la cosca ‘ndranghetistica dei Dragone di Cutro.

Analizzando l’ordinanza di custodia cautelare che recepisce buona parte delle richieste della Dda di Brescia, sono proprio le pratiche di illegalità attribuibili a pezzi di società civile della provincia reggiana e della Bassa Mantovana a costituire quelle “circostanze ambientali” che avrebbero reso possibile il collaudato meccanismo svelato con l’inchiesta che l’altra notte ha portato all’operazione “Sisma”.

Professionisti e beneficiari dei finanziamenti si sarebbero interfacciati con l’architetto nipote del boss in base a un “sistema” che, secondo la ricostruzione dei carabinieri di Mantova, consisteva nella corresponsione di indebite somme, in genere pari a circa il 3% del contributo elargito, per garantirsi la trattazione della propria pratica in violazione dell’ordine cronologico e con aumenti – talora non dovuti – dell’importo concesso a fondo perduto, elargito ai richiedenti solo a condizione che costoro affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo a lui o a suo padre.

Ma sono proprio le connivenze di cui i Todaro avrebbero goduto a rendere possibile il “sistema”. Certo, dalle intercettazioni emerge costantemente l’interesse di padre e figlio per eventuali attività d’indagine. «Non dovevamo farlo proprio tutto questo lavoro nel Comune… questa qua è stata proprio una cacata…la Bondeno… dove lavoro io ti do i soldi… hai capito che mi tolgono la firma e mi tolgono dall’albo se mi pizzicano?», direbbe il figlio al padre.

Del resto, quasi contestualmente a quella intercettazione gli indagati tolgono 80mila euro dal conto della Bondeno temendo che possa presto essere bloccato. Quindi progettano di chiudere la società su cui vi era sentore di un’indagine, sentore indotto proprio dal direttore della filiale presso cui era stato acceso il conto, e ipotizzano di aprire nuove ditte da intestare a prestanome. Gli agganci nell’ambiente bancario c’erano, considerato che uno degli arrestati, il reggiano Enrico Ferretti, dipendente del Credito emiliano, è tra gli arrestati con l’accusa di aver concorso per agevolare le intestazioni fittizie delle società dei Todaro.

Ciò nonostante, come emergerebbe sempre dalle intercettazioni, il consulente bancario fosse pienamente consapevole del retroterra delinquenziale della cosca di appartenenza, tale da rendere i Todaro depositari di notevoli ricchezze da reinvestire per mettere al sicuro, anche mediante condotte di trasferimento fraudolento di valori, il tesoretto accumulato. Ma lo stesso Ferretti non poteva agire da solo. Il gip parla di «relazioni opache» con altri funzionari di banca che si sarebbero resi disponibili a intestare conti a persone già segnalate, ciò in spregio alle regole di prudenza creditizia.

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Fabio Grandinetti

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