Il Centro d'accoglienza di Crotone
3 minuti per la letturaCROTONE – Sono 65 gli indagati nell’ambito di un’inchiesta collegata a quella che nel febbraio 2021 portò all’operazione Ikaros, che vide coinvolti avvocati e pubblici ufficiali e avrebbe fatto luce su un intreccio di condotte illecite finalizzate a favorire l’ingresso e la permanenza nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari e l’ottenimento del beneficio della protezione internazionale anche a chi non ne aveva i requisiti ma era interessato soltanto a un titolo che consentisse libertà di movimento in Italia e in Europa.
Vengono per lo più dall’Iraq, ma ci sono anche molti pakistani e afghani, qualcuno della Nuova Guinea e un italiano tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini fatto notificare dal pm Alessandro Rho, lo stesso che ha diretto l’inchiesta che ha già portato a nove condanne. Le accuse sono quelle di contraffazione di dichiarazioni di ospitalità con cui sarebbero stati indotti in errore i funzionari della Commissione territoriale annessa al Centro d’accoglienza S. Anna per il riconoscimento della protezione internazionale e i pubblici ufficiali nel rilasciare permessi di soggiorno falsi anche a chi non ne aveva i requisiti ma era interessato soltanto a un titolo che consentisse libertà di movimento in Italia e in Europa.
Un’appendice investigativa dell’inchiesta madre, che ha già portato alle condanne in primo grado, le cui motivazioni sono state depositate di recente, come già riferito dal Quotidiano, dal Tribunale penale presieduto da Antonella Elvezia Cordasco. Le nuove accuse non possono essere lette in maniera disgiunta rispetto ai numerosi casi confluiti nei capi d’imputazione e analizzati meticolosamente dai giudici nelle oltre 1200 pagine di cui si compone la sentenza.
In quel provvedimento si legge, tra l’altro, che «i richiedenti, al momento della presentazione dell’istanza, sebbene si servissero dell’assistenza di legali crotonesi, non si trovavano in Italia ma nel Paese d’origine da cui, lungi dall’essere in fuga, si allontanavano solo per l’espletamento delle fasi dell’iter amministrativo». «Emblematico» viene ritenuto dai giudici il caso di un irakeno che in sede di audizione presso la Commissione territoriale, annessa a un centro d’accoglienza fra i più grandi d’Europa, dichiarò di avere timore di essere ucciso se fosse rientrato nel proprio Paese ma prima di arrivare in Italia si era già premunito del biglietto aereo di ritorno.
Il Tribunale rileva che il «reiterato e sistematico ingresso nel Paese da cui i richiedenti deducevano di essere in fuga costituisce un chiaro indice del carattere mendace della storia e dei motivi posti alla base dell’istanza di protezione quanto dell’assenza dei presupposti per il riconoscimento dello status» (di rifugiato, ndr). Due le presunte associazioni a delinquere sgominate, che si avvalevano anche di “cellule internazionali” in collegamento con i Paesi da cui provenivano i flussi migratori, specie il Kurdistan iracheno.
«Procacciatori di clienti» erano intermediari e faccendieri stranieri, che fungevano da tramite rispetto ad un gruppo di avvocati, col supporto di interpreti e agenti in servizio presso l’Ufficio Immigrazione della Questura, al fine di favorire la permanenza nel nostro Paese di numerosi curdo-iraqeni che, pur non essendo stabilmente residenti in Italia, vi sarebbero giunti regolarmente, muniti di visto turistico, al solo fine di ottenere la protezione internazionale e quindi di garantirsi, illecitamente, un soggiorno di lungo periodo nell’area Schengen. Tutto ciò a fronte del pagamento di somme di denaro poi ripartite tra i componenti dei due presunti gruppi criminali. Eccolo il sistema Crotone, terra crocevia dell’immigrazione divenuta, anche, un business su cui lucrare illecitamente.
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