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ISOLA CAPO RIZZUTO – Diventano definitive 17 condanne nel processo scaturito dall’inchiesta che sul finire del 2018 portò all’operazione Tisifone, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Crotone contro due gruppi criminali emergenti di Isola Capo Rizzuto, le nuove leve dei clan Capicchiano e Nicoscia, che stavano per ingaggiare una sanguinosa guerra e avevano legami con le cosche di Papanice e di Petilia Policastro.

La Corte di Cassazione ha respinto quasi tutti i ricorsi difensivi, stabilendo che soltanto una pena è da rideterminare per la continuazione, e ha accolto quello della Procura generale soltanto in ordine all’associazione mafiosa armata per quanto concerne due posizioni che pertanto potrebbero essere riformate in peius nel processo d’appello bis.

Ma ecco, nel dettaglio, le condanne divenute definitive: 8 anni di reclusione per Salvatore Arena, di 32 anni, di Isola Capo Rizzuto; 3 anni e 4 mesi per Brook Seyoum Asbat (36), nato in Etiopia e residente a Isola; 9 anni e 4 mesi per Gianfranco Calabretta (36), di Isola; 10 anni e 8 mesi per Antonio Capicchiano (46), di Isola; 8 anni e 4 mesi per Orlando Capicchiano (30), di Isola; 10 anni e 8 mesi per Salvatore Capicchiano (48), di Isola; 8 anni per Rosario Curcio (63), di Petilia Policastro, ma per l’associazione armata servirà un processo d’appello bis; 6 anni e 8 mesi per Rocco Devona (39), di Crotone, ma anche per lui c’è stato annullamento con rinvio per l’associazione armata; 3 anni e 8 mesi per Alessandro Giardino (25), di Isola; 3 anni e 8 per Antonio Lentini (24), di Isola; 6 anni e 8 mesi per Francesco Macrillò (30), di Isola; 7 anni per Antonio Manfredi (23), di Isola; 8 anni per Luigi Manfredi (26), di Isola; 8 anni e 4 mesi per Giovanni Muccari (35), di Isola; 10 anni e 8 mesi per Antonio Nicoscia (46), di Isola; 6 anni e 8 mesi per Antonio Nicoscia (46), di Isola; 10 anni per Santo Claudio Papaleo (35), di Isola; 2 anni e 8 mesi per Carmine Serapide (36), di Isola.

È stata, in buona sostanza, confermata una sentenza che ha ricondotto le ragioni delle fibrillazioni interne alla galassia delle famiglie di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto al forte attrito determinato anche dalla gestione del lucroso business delle slot machines. Le nuove leve dei clan rivendicavano maggiore autonomia operativa e gestionale dopo la carcerazione dei vertici della cosca Arena nell’operazione Jonny del maggio 2017, tant’è che si susseguirono una serie di atti intimidatori e danneggiamenti, vittime vari commercianti. Un contesto collegabile al ruolo preteso da Salvatore Capicchiano per sé e la propria famiglia in contrapposizione con altri esponenti della consorteria quali Antonio Nicoscia classe ’77.

Dalla visione delle telecamere di videosorveglianza è pure emerso che Capicchiano aveva trasformato il suo rione in una sorta di «fortino», in cui sentinelle sorvegliavano 24 ore su 24 l’interza zona anche con ronde notturne. Enormi i guadagni derivanti dall’affare delle slot e dei giochi online. Grazie alla forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alle organizzazioni criminali, autorevoli esponenti delle cosche riuscivano ad impiantare arbitrariamente le slot machines presso i vari esercizi commerciali imponendo le percentuali di guadagno che deve confluire nelle casse della cosca. Rimasta orfana degli esponenti di vertice, colpiti dall’operazione Jonny, e sepolti da caterve di condanne, e il riferimento è soprattutto a Pino e Pasquale Arena, il clan ha stentato a trovare una figura carismatica che potesse assumere il ruolo di reggente e che, soprattutto, fosse riconosciuto dagli affiliati rimasti in libertà.

Nella nuova fase, Capicchiano rivendica – come documenterebbe un’intercettazione – di avere i titoli per la scalata alla gerarchia mafiosa, quando sostiene, per esempio, di possedere il grado della doppia “M”, inferiore soltanto a quello di mammasantissima. Galeotta fu la gestione, evidentemente poco condivisa con le altre famiglie di ‘ndrangheta, degli introiti delle macchinette mangiasoldi. In questo contesto maturarono i progetti di attentato a Luigi Manfredi, Antonio Sestito e Salvatore Capicchiano.

Altra «attitudine» del sodalizio criminale sono i rituali di affiliazione documentati nel corso delle indagini. Poliziotti appostati, si ricorderà, seguirono a distanza i riti in casolari diroccati e i banchetti celebrati in ristoranti per festeggiare il “battezzo” con una stretta osservanza alle tradizioni della ‘ndrangheta. Ma se il petilino Rosario Curcio sapeva il rituale a memoria, a riferirne i dettagli erano i coimputati nelle intercettazioni. Gli avvocati impegnati nel procedimento erano Luigi Villirilli, Luigi Falcone, Antonella Canino, Gianni Russano, Roberto Coscia, Tiziano Saporito, Antonietta De Nicolò, Salvatore Staiano, Francesca Buonopane, Mario Nigro.

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