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CROTONE – Adesso c’è la decisione nel merito. Dopo l’analoga decisione sotto il profilo cautelare con cui il Tar del Lazio aveva sospeso la revoca del programma di protezione nei confronti dei familiari del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura che era stata notificata nel giugno 2021 (anche l’ex reggente della cosca crotonese ne beneficiava essendone personalmente sfornito dal 2014), i giudici amministrativi hanno annullato quel provvedimento che tanto aveva fatto discutere.
È stata accolta dalla Sezione Prima Ter l’istanza dell’avvocato Enrico Morcavallo che aveva predisposto il ricorso di Paola Emmolo, moglie di Bonaventura, contro la Commissione centrale del ministero dell’Interno. Il collegio presieduto da Francesco Arzillo fa riferimento alle note della Dda di Catanzaro e della Dna con le quali, come già riferito dal Quotidiano, si esprimeva parere favorevole alla proroga della protezione per la famiglia di Bonaventura considerati anche gli impegni processuali e la necessità di salvaguardare l’incolumità sua e dei suoi familiari. Il pentito crotonese, che ha collaborato con 14 Procure, testimonia in vari processi antimafia in tutt’Italia.
La Dda guidata dal procuratore Nicola Gratteri ritiene, pertanto, «immutata l’attualità e la gravità del pericolo a cui i familiari sono esposti in forza della sua scelta collaborativa». Per i giudici, «il numero, il contesto, la misura e le implicazioni degli impegni processuali sin qui assolti dal collaboratore di giustizia marito della ricorrente hanno provocato un’esposizione a rischio di incolumità comprovata dal varo del programma di protezione» ed è «lecito dubitare, alla luce della carica di intensità che l’ha finora contraddistinto, che questo elevato fattore di rischio possa essere radicalmente estinto nel volgere di un lasso temporale circoscritto», tanto più che la parte resistente ha opposto un argomento «incentrato prevalentemente sul rilievo per cui la consorte avrebbe rifiutato il trasferimento per motivi di sicurezza in una diversa località» quando invece sembrava aver assunto «un atteggiamento interlocutorio col quale si riservava di comunicare le proprie intenzioni dopo essersi consultata con i propri familiari». Inoltre, la Commissione centrale non ha offerto, stando alla sentenza del Tar, «elementi di confutazione in ordine alla persistenza delle ragioni di rischio per i familiari del collaboratore di giustizia connesse alla qualità ed entità della collaborazione sinora prestata».
La revoca della protezione era scattata alla vigilia della deposizione in un processo in corso a Crotone, quello denominato Malapianta, contro la cosca Mannolo di San Leonardo di Cutro (poi definitosi, tra l’altro, con la condanna a 30 anni per il presunto boss Alfonso Mannolo). Durante l’udienza il pentito aveva lanciato un appello alla Dda di Catanzaro perché fosse ripristinata ogni tutela per lui e i suoi familiari. Audito dalla Commissione parlamentare antimafia, il pentito aveva peraltro denunciato che le località cosiddette protette sono a rischio, facendo riferimento a scritte mafiose riconducibili a varie cosche calabresi denunciate dalla moglie un anno prima che venisse ucciso Marcello Bruzzese, fratello di Girolamo.
Forse a Pesaro giunsero proprio dalla Calabria i killer che freddarono l’uomo originario di Rizziconi, congiunto di un pentito che ha svelato le trame del clan Crea, tra i più potenti della ‘ndrangheta. Falle nel sistema di protezione, che non tutela chi spezza la catena dell’omertà e sceglie la via della denuncia, accusando e auto accusandosi, come ha fatto Bonaventura. Ma ora, dopo il primo step della sospensione della revoca della protezione, il provvedimento della Commissione centrale è stato annullato e il pentito crotonese ha vinto la sua battaglia.
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