Una fase dell'operazione Perseverance
3 minuti per la letturaCUTRO (KR) – Approda al giro di boa dell’udienza preliminare, fissata per il 22 dicembre prossimo, l’inchiesta che nel marzo scorso portò all’operazione Perseverance, condotta dalla Dda di Bologna contro la filiale emiliana della super cosca Grande Aracri di Cutro, con al vertice, secondo l’accusa, l’ultimo dei fratelli Sarcone rimasti in libertà, Giuseppe Grande Sarcone, il quale, a differenza dei fratelli Nicolino, il più autorevole in senso criminale, capo conclamato della cellula reggiana e già condannato nel processo Aemilia, ma anche di Carmine e Gianluigi, era sfuggito alle inchieste che a più riprese hanno colpito l’articolazione al Nord del clan.
Il pm Antimafia Beatrice Ronchi ha chiesto il rinvio a giudizio per 48 imputati nell’ambito di un procedimento che avrebbe delineato i nuovi assetti dell’associazione ‘ndranghetista di matrice cutrese operante in Emilia.
Le accuse, sono, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, finalizzata, tra l’altro, al recupero di crediti di natura estorsiva e al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e agevolare la condotte di riciclaggio, anche tramite falsità ideologiche in atti pubblici commesse da pubblici ufficiali e da privati.
In particolare, l’Arma dei carabinieri di Modena, partendo dalle risultanze investigative della nota indagine Aemilia, che ha focalizzato gli anni dal 2010 al 2015, e dalla successiva indagine Grimilde, che ha fatto luce sul periodo 2015 al 2019, ha riletto oltre trent’anni di crimine lungo l’asse Cutro – Reggio Emilia, concentrandosi sulla figura di colui che, a differenza dei fratelli arrestati e condannati, era rimasto immune dalle varie operazioni antimafia.
Ed è venuta l’ennesima conferma della capacità del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro ma operante in autonomia nel territorio emiliano, di infiltrarsi nei settori centrali dell’economia e della vita civile. Giuseppe Grande Sarcone, per il tramite di prestanome, avrebbe, di fatto, gestito varie attività economiche nelle province di Modena e Reggio Emilia, dalle sale scommesse alle officine meccaniche, dalle carrozzerie alle società immobiliari, nel tentativo di salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri, alla luce della misura di prevenzione già emessa nel settembre del 2014 nei confronti della famiglia.
Ma l’inchiesta si è ampliata. Spiccano, tra i nuovi nomi, quel Salvatore Procopio, nei giorni scorsi destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare nella quale gli si contestano accuse di associazione mafiosa e armi e indicato come un “azionista” che era stato incaricato di uccidere il collaboratore di giustizia Salvatore Cortese.
C’è anche Mario Timpano, originario di Zagarise ma residente in Belgio, accusato, in concorso con Francesco Grande Aracri, fratello del super boss Nicolino, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di disperati da spremere, per 15 ore giornaliere e senza riposo settimanale, in cantieri edili di un’impresa riconducibile al clan per la costruzione di 350 appartamenti. Timpano avrebbe reclutato muratori e carpentieri formalmente assunti presso l’inesistente ditta di Firenze “Ballu” e poi portati in Belgio dove avrebbero lavorato per 8 euro all’ora in spregio a contratti nazionali e territoriali e senza alcuna indennità per festivi, vitto e straordinari. Un episodio, questo del caporalato, che costituisce un capitolo della parallela inchiesta Grimilde.
Ma tra gli imputati troviamo anche gli ex imprenditori di riferimento del clan, dai fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli al pentito Giuseppe Giglio, accusati di corruzione nei confronti di due poliziotti già condannati nel processo Aemilia – Antonio Cianflone, già in servizio alla Squadra Mobile di Catanzaro, e Francesco Matacera affinché rivelassero segreti per garantire l’intoccabilità degli esponenti dell’organizzazione ‘ndranghetista, accelerassero l’iter per la riabilitazione di Palmo Vertinelli già colpito da interdittiva antimafia e si adoperassero per rilasciare la licenza di porto di fucile a Giuseppe Vertinelli.
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