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La conferenza stampa di Gratteri per l'operazione Tisifone

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ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Diciotto condanne, di cui tre confermate e le altre 15 ridotte, nel processo di secondo grado (filone del rito abbreviato) scaturito dall’inchiesta che sul finire del 2018 portò all’operazione Tisifone, condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Crotone contro due gruppi criminali emergenti di Isola Capo Rizzuto, le nuove leve dei clan Capicchiano e Nicoscia, che stavano per ingaggiare una sanguinosa guerra e avevano legami con le cosche del quartiere Papanice della città capoluogo di provincia e di Petilia Policastro.

E’ la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che ha sostanzialmente accolto le richieste del pm Antimafia Paolo Sirleo. Il pm, dopo la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso l’esame del pentito Domenico Iaquinta, ha rinunciato, in particolare, all’appello per Tommasino Ierardi, l’unico assolto in primo grado. Ha, invece, chiesto una pena più alta di quella a cui fu condannato Luigi Manfredi, 20 anni anziché 10, ma alla fine l’imputato, in accoglimento dell’appello dell’avvocato Mario Nigro, è stato condannato a 8 anni.

Per il resto, il pm ha chiesto la conferma della sentenza emessa dal gup distrettuale, che è stata ritoccata per 15 imputati (tranne che per Calabretta, Muccari e Serapide).

Ma ecco, nel dettaglio, la sentenza (in parentesi la decisione di primo grado): 8 anni di reclusione (10 anni, 1 mese e 10 giorni) per Salvatore Arena, di 30 anni, di Isola Capo Rizzuto; 3 anni e 4 mesi (5 anni e 4 mesi) per Brook Seyoum Asbat (34), nato in Etiopia e residente a Isola; 9 anni e 4 mesi (9 anni e 4 mesi ) per Gianfranco Calabretta (34), di Isola; 10 anni e 8 mesi (14 anni) per Antonio Capicchiano (44), Isola; 8 anni e 4 mesi (11 anni e 6 mesi) per Orlando Capicchiano (28), di Isola; 10 anni e 8 mesi (14 anni) per Salvatore Capicchiano (46), di Isola; 8 anni (10 anni) per Rosario Curcio (61), di Petilia Policastro; 6 anni e 8 mesi (10 anni) per Rocco Devona (37), di Crotone; 3 anni e 8 mesi (8 anni e 4 mesi) per Alessandro Giardino (23), di Isola; assoluzione per Tommasino Ierardi (44), di Petilia; 3 anni e 8 mesi (4 anni e 8 mesi) per Antonio Lentini (22), di Isola; 6 anni e 8 mesi (8 anni) per Francesco Macrillò (28), di Isola; 7 anni (8 anni e 4 mesi) per Antonio Manfredi (22), di Isola; 8 anni (10 anni) per Luigi Manfredi (24), di Isola; 8 anni e 4 mesi (8 anni e 4 mesi) per Giovanni Muccari (33), di Isola; 10 anni e 8 mesi (12 anni) per Antonio Nicoscia (44), di Isola (20 anni) ; 6 anni e 8 mesi (8 anni) per Antonio Nicoscia (44), di Isola; 10 anni (12 anni) per Santo Claudio Papaleo (33), di Isola; 2 anni e 8 mesi (2 anni e 8 mesi) per Carmine Serapide (34), di Isola.

E’ stata, in buona sostanza, confermata una sentenza che ha ricondotto le ragioni delle «fibrillazioni interne» alla galassia delle famiglie di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto e il «clima di tensione che ancora oggi perdura» al «forte attrito» determinato «anche dalla gestione del lucroso business delle slot machines».

Le nuove leve dei clan rivendicavano maggiore autonomia operativa e gestionale dopo la carcerazione dei vertici della cosca Arena nell’operazione Jonny del maggio 2017, tant’è che si susseguirono una serie di atti intimidatori e danneggiamenti, vittime vari commercianti. Un contesto collegabile al «ruolo preteso da Salvatore Capicchiano per sé e la propria famiglia in contrapposizione con altri esponenti della consorteria quali Antonio Nicoscia classe ’77».

Dalla visione delle telecamere di videosorveglianza è pure emerso che Capicchiano aveva trasformato il suo rione in una sorta di «fortino», in cui sentinelle sorvegliavano 24 ore su 24 l’interza zona anche con ronde notturne. Enormi i guadagni derivanti dall’affare delle slot e dei giochi online.

«Grazie alla forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alle organizzazioni criminali, autorevoli esponenti delle cosche riuscivano ad impiantare arbitrariamente le slot machines presso i vari esercizi commerciali imponendo le percentuali di guadagno che deve confluire nelle casse della cosca». Rimasta orfana degli esponenti di vertice, colpiti dall’operazione Jonny, e sepolti da caterve di condanne, e il riferimento è soprattutto a Pino e Pasquale Arena, il clan ha stentato a trovare «una figura carismatica che potesse assumere il ruolo di reggente e che, soprattutto, fosse riconosciuto dagli associati rimasti in libertà», osservava il gup.

Nella nuova fase, Capicchiano rivendica – come documenterebbe un’intercettazione – di avere i titoli per la scalata alla gerarchia mafiosa, quando sostiene, per esempio, di possedere il grado della doppia “M”, inferiore soltanto a quello di mammasantissima. Galeotta fu la «gestione evidentemente poco condivisa» con le altre famiglie di ‘ndrangheta degli introiti delle macchinette mangiasoldi. In questo contesto maturarono i progetti di attentato a Luigi Manfredi, Antonio Sestito e Salvatore Capicchiano.

Altra «attitudine» del sodalizio criminale oggetto del processo sono i rituali di affiliazione documentati nel corso delle indagini, ciò che, sempre secondo il gup, «testimonia la necessità di reperire nuova “forza lavoro” in modo da poter sopperire allo stato di detenzione di molti appartenenti alla consorteria ma vieppiù della necessità di aprirsi a nuove frange ‘ndranghetistiche (i petilini e i papaniciari) al fine di rafforzare la propria posizione nel territorio di riferimento nella previsione di spaccature interne». Poliziotti appostati, si ricorderà, seguirono a distanza i riti in casolari diroccati e i banchetti celebrati in ristoranti per festeggiare il “battezzo” con una stretta osservanza alle tradizioni della ‘ndrangheta. Ma se il petilino Rosario Curcio sapeva il rituale a memoria, a riferirne i dettagli erano i coimputati nelle intercettazioni.

Gli avvocati impegnati nel procedimento erano Luigi Villirilli, Stefano Nimpo, Luigi Falcone, Antonella Canino, Gianni Russano, Roberto Coscia, Tiziano Saporito, Salvatore Iannone, Antonietta De Nicolò, Salvatore Staiano, Rocco Corda, Francesca Buonopane, Mario Nigro.

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