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CROTONE – Di un inusuale – specie a queste latitudini – atto di “ribellione” contro la ‘ndrangheta si parla nella sentenza emessa nell’aprile scorso con cui otto anni e mezzo di reclusione ciascuno furono inflitti a due boss di spicco della ‘ndrangheta come Pantaleone “Luni” Mancuso e Giovanni Trapasso, capi indiscussi delle omonime cosche di Limbadi e San Leonardo di Cutro.

È la sentenza – a fronte di richieste di condanna a 12 anni (per Trapasso) e 10 (per Mancuso) avanzate dal pm Antimafia Pasquale Mandolfino – emessa dal Tribunale penale di Crotone nel troncone processuale scaturito dall’inchiesta che, tre anni fa, portò all’operazione “Via col vento”, con cui la Dda di Reggio svelò presunti tentacoli dei clan sui parchi eolici di mezza Calabria. Erano stati, inoltre, condannati a 5 anni e 3 mesi ciascuno Riccardo Di Palma, 49 anni, di San Lupo (in provincia di Benevento), per il quale il pm aveva chiesto 9 anni, e Giuseppe Errico, di 67 anni, albergatore di Cutro, per il quale il pm aveva chiesto 9 anni e sei mesi.

Si conoscono, dunque, le motivazioni che hanno indotto il collegio penale presieduto da Marco Bilotta (giudice estensore Elisa Marchetto) a ritenere che sul business delle pale eoliche avevano allungato le mani alcune delle cosche più potenti della ‘ndrangheta, come i Paviglianiti radicati nel Melitese, i Mancuso di Limbadi, i Trapasso di San Leonardo di Cutro e gli Anello di Filadelfia, nel mirino dei quali erano finiti gli impianti di Amaroni, San Lorenzo, Cutro e Crotone.

Nel processo si erano costituiti parte civile la Nordex e l’imprenditore Massimiliano Arcuri, assistiti rispettivamente dagli avvocati Federico Brancaleonte e Giuseppe Barbuto, che si erano associati alle richieste del pm. E proprio nella deposizione di Arcuri i giudici ravvisano, oltre che «un atto liberatorio», la «ribellione verso la ‘ndrangheta di un giovane imprenditore che tuttora crede nella giustizia e nelle istituzioni e che, nonostante le fortissime pressioni ricevute, aveva scelto di mettersi contro la malavita compiendo il proprio lavoro, facendo rilevare le irregolarità riscontrate, allertando le forze dell’ordine e non piegandosi alle minacce e alle intimidazioni sebbene spaventato e ben consapevole dei rischi assunti con un atteggiamento ostracista verso il crimine».

Secondo il collegio giudicante, i testi con le loro deposizioni hanno agevolato la comprensione di un complesso procedimento, e tra questi è da annoverare anche il cosentino Carlo Runco che, pur non costituendosi parte civile, ha “parlato” durante le dichiarazioni rese in un interrogatorio in qualità di indagato per reato connesso. Di Runco i giudici ravvisano il diverso temperamento rispetto ad Arcuri sottolineando che in un primo tempo «aveva voluto fidarsi della giustizia e delle istituzioni sporgendo vane denunce a fronte di numerosi furti e danneggiamenti subiti nei cantieri per poi arrendersi alle pressioni e intimidazioni ricevute».

In particolare, le condanne erano scattate per uno solo dei capi d’imputazione contestati, ovvero tentata estorsione e concorrenza illecita poiché gli imputati avrebbero tentato di condizionare l’affidamento del servizio di trasporto di pale eoliche della Vestas da Taranto a Cutro alla Fe Trasporti di Giuseppe Evalto, per cui si procede a parte, e alla Molisana Trasporti di Di Palma. I quattro erano accusati anche di estorsione e concorrenza illecita ai danni di Arcuri e di Geo Trasporti, al fine di costringere le ditte a cedere i lavori per la costruzione del parco eolico nella località San Biagio di Crotone che erano stati loro appaltati dalla multinazionale Nordex.

Il Tribunale aveva però assolto gli imputati dall’accusa di concorrenza sleale perché il fatto non sussiste e aveva ritenuto prescritta la violenza privata nella quale, in una precedente udienza, era stata derubricata l’originaria accusa di estorsione. Gli arresti erano scattati nel luglio 2018 nell’ambito di un’inchiesta avviata nel 2012 dalla Dda reggina che avrebbe fatto luce su pesanti infiltrazioni mafiose nel settore eolico un po’ in tutta la Calabria.

Perfino multinazionali come Gamesa, Vestas e Nordex sarebbero state costrette a pagare il “pizzo” liquidando alle aziende segnalate da Evalto, faccendiere ritenuto vicino al boss Mancuso, compensi per prestazioni sovrafatturate o mai svolte. Gli imprenditori sarebbero stati costretti a subappaltare i lavori per la realizzazione di parchi eolici a imprese controllate dalle cosche, anche aggirando i regolamenti contrattuali. Singolare che i boss Trapasso e Mancuso fossero appellati nelle intercettazioni come “ingegneri”, le cui «strategie illecite» Evalto era chiamato a eseguire.

È quell’Evalto resosi protagonista di un episodio della lunga «saga di minacce» ai danni di Runco (e al suo avvocato, Roberto Le Pera), in aula, nel filone approdato al Tribunale di Reggio Calabria. «Avvocato, io la rogna me la caccio, la rogna Runco non la deve passare agli altri e gliela caccio io», disse, come ricordano i giudici in sentenza.

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