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CUTRO (CROTONE) – «Voi non andate da nessuna parte». Al termine della costruzione del villaggio turistico Serenè, sull’incantevole goldfo di San Leonardo di Cutro, il presunto boss Alfonso Mannolo,  capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta stanziata nella frazione costiera, pretese e ottenne l’incontro con i titolari della holding del turismo che gestisce catene di residence in tutt’Italia.

Lo ha raccontato ieri in aula, nel corso di un’udienza del processo Malapianta, dinanzi al Tribunale penale di Crotone, Fabio Maresca, che nell’ambito del gruppo marchgiano si occupa delle nuove iniziative imprenditoriali. Suo fratello Silvio si occupa, invece, della gestione e aveva già testimoniato sulle modalità rapaci del racket imposto dal clan.

Rispondendo al pm Antimafia Andrea Buzzelli e all’avvocato Gtegorio Viscomi, Fabio Maresca ha ripercorso le fase della costruzione del villaggio, ricordando che a fare da “portavoce” delle varie imprese edili era Fiore Zoffreo, che nel filone del rito abbreviato è stato condannato a 20 anni di reclusione in quanto è ritenuto uno degli organizzatori della cosca. «La sua presenza in cantiere era costante – ha detto il teste – anche se non aveva alcuna competenza, il suo compito era più che altro quello di sollecitare i pagamenti».

E quando sorse un contenzioso con una delle imprese, la ditta Ciampà, in relazione alla qualità del calcestruzzo, che Maresca reputava scadente, a fare da mediatore sarebbe stato il boss. «Fu lui a dirimere la questione». Si trattò di «un contenzioso extragiudiziale, con un risarcimento dei danni ridotto rispetto alle pretese dei Maresca e l’impegno a svolgere maggiori controlli in futuro». E alla fine dei lavori Zoffreo disse ai Maresca che suo cuocero voleva incontrarli. Ma «dopo pochi minuti che Mannolo parlava mio fratello ebbe una reazione nervosa»,  l’incontro terminò con quella frase: «Voi non andate da nessuna parte». Mannolo aveva chiesto «100 milioni di ex lire all’anno, forniture, assunzioni, guardiania», e «mio fratello – ha aggiunto il teste – disse che a quelle condizioni il villaggio non era gestibile».

I Maresca cedettero, e la tangente scese a 90 milioni poi tradottisi in 50mila euro all’anno, ma di quello sa meglio suo fratello Silvio, che agli inquirenti, ed anche in aul,a ha già raccontato di un calvario ultraventennale fatto di pizzini da consegnare a sbrigativi esattori, di quote da versare con causali fantasiose e di imposizioni di personale senza manco curricula. L’obolo, elargito direttamente dai direttori succedutisi nella gestione, se lo sarebbero spartiti il clan sanleonardese e la cosca capeggiata dal boss Nicolino Grande Aracri, al vertice della “provincia” di ‘ndrangheta di Cutro.

Ma c’è una cosa che Fabio Maresca sa bene, dopo 30 anni di costruzione di catene di residence in tutta Italia. «E’ l’unico villaggio in cui abbiamo avuto questo tipo di problemi».

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