Il tribunale di Catanzaro
2 minuti per la letturaCUTRO – Ammontano a 360 anni di carcere le condanne inflitte dal gup distrettuale di Catanzaro Gabriella Logozzo a 43 imputati nel processo scaturito dall’inchiesta sul clan Mannolo di San Leonardo di Cutro, che imponeva il racket ai villaggi turistici della costa jonica, e le sue proiezioni in Umbria.
I pm Antimafia Domenico Guarascio e Antonio De Bernardo avevano chiesto pene per 730 anni. Ma ci sono anche 2 proscioglimenti per prescrizione e 17 assoluzioni (l’accusa ne chiedeva quattro), tra cui spiccano quelle nei confronti dell’avvocatessa 46enne Rosina Levato, del Foro di Catanzaro, con studio a Cropani, che rispondeva di tentata usura ed estorsione con l’aggravante mafiosa, e del 52enne di San Leonardo di Cutro Antonio Caterisano, che era coinvolto nel racket al villaggio turistico Serenè.
Le pene più elevate, a 20 anni, sono state inflitte ai plenipotenziari del clan, Mario Mannolo, deputato al narcotraffico, e Fiore Zoffreo, considerato tra gli organizzatori delle estorsioni, ma è stato assolto Pietro Scerbo, ritenuto il contabile, per cui era stata proposta un’analoga pena.
L’inchiesta che ha già portato alle operazioni Malapianta e Infectio, condotte rispettivamente dalla Guardia di finanza di Crotone e dalle Squadre Mobili di Catanzaro e Perugia, fece peraltro innalzare il livello di rischio per il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, tant’è che fu rafforzata la scorta in seguito ai progetti di attentati che trapelavano da alcune intercettazioni.
Nel processo per il clan capeggiato dal boss ultraottantenne Alfonso Mannolo, il quale però ha scelto il rito ordinario insieme a una trentina di coimputati, erano costituiti parte civile la Regione Calabria assistita dall’Avvocatura regionale, il Comune di Perugia, il Comune di Cutro, Banca Unicredit, l’imprenditore vicentino Stefano De Gasperi, Alberghi del Mediterraneo srl – società che gestisce il villaggio turistico Porto Kaleo – e l’imprenditore proprietario del villaggio stesso (vessato per anni dalla cosca), testimone di giustizia cardine in questa indagine, il lametino Giovanni Notarianni, assistito, come anche la società, dall’avvocato Michele Gigliotti, che aveva chiesto un risarcimento di otto milioni di euro. Il gup ha disposto condanne al risarcimento di 50mila euro per la Regione Calabria, di 30mila euro ciascuno per i Comuni di Cutro e Perugia. Ma ha disposto anche provvisionali immediatamente esecutive di 20mila euro ciascuno per Notarianni e la sua società e Unicredit, e di 15mila euro per De Gasperi rimandando la quantificazione del danno in separata sede.
Il pm Guarascio nella sua requisitoria aveva ritenuto prezioso il contributo di Notarianni, a differenza di quello fornito dal pentito Dante Mannolo, il figlio del boss.
Dal rampollo di una potente famiglia di ‘ndrangheta la Dda pretendeva elementi di novità che un intraneus alla cosca con posizione apicale non ha, invece, apportato: da qui la richiesta di 12 anni di reclusione nei suoi confronti, avendo egli aggirato l’argomento del racket ai villaggi turistici, affaire che la sua famiglia, secondo l’accusa, gestiva da decenni: il gup ha comunque concesso l’attenuante per la collaborazione intrapresa con la giustizia.
I particolari nell’edizione in edicola domani.
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