La mappa dei clan del Vibonese secondo la ricostruzione agli atti della mega inchiesta “Rinascita”
2 minuti per la letturaCUTRO (CROTONE) – Analizzando il capo d’imputazione relativo all’associazione mafiosa del mega avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato nei giorni scorsi ai 475 finiti sotto accusa nell’ambito dell’inchiesta che nel dicembre scorso portò all’operazione Rinascita, contro i clan vibonesi e la zona grigia tra massoneria e ‘ndrangheta, emerge una nuova geografia mafiosa. Le “province” di ‘ndrangheta in Calabria sono tre. I pubblici ministeri Nicola Gratteri, Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso e Anna Maria Frustaci contestano, infatti, l’esistenza di organi o strutture intermedi come la “provincia” di Cutro o la “provincia” di Vibo Valentia, cui fanno capo più ‘ndrine e locali, che “assicurano il collegamento ed il coordinamento con la “provincia” di Reggio Calabria ed il Crimine di Polsi, da cui sono riconosciute”.
Ferma restando la supremazia della “provincia” di Reggio Calabria (tradizionalmente articolata nei tre mandamenti: jonico, tirrenico e reggino) ed il crimine di Polsi, quale organo di vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria la cui esistenza ed operatività è sancita dalla sentenza del processo Crimine. Al vertice dei clan vibonesi viene indicato Luigi Mancuso, boss di Limbadi, capo crimine. “Riconosciuto dal “Crimine” di Polsi, e storico detentore del potere ‘ndranghetistico formale e sostanziale su tutta la zona del vibonese, in virtù del proprio carisma criminale, degli strettissimi rapporti criminali con le cosche Piromalli di Gioia Tauro e Pesce di Rosarno, dei collegamenti con le più potenti famiglie ‘ndranghetistiche del Reggino”, è detto, tra l’altro, nel capo d’accusa.
Il fatto nuovo è che, pur rimanendo il vertice a Reggio, e formalmente a Polsi, casa madre della ‘ndrangheta, non c’è più soltanto una “provincia”. Ce ne sono tre, di “province”, e non corrispondono certo alla geografia istituzionale, anche perché Cutro estende il suo dominio su buona parte del Catanzarese e del Cosentino. La “provincia” di ‘ndrangheta di Cutro è quella acclarata dalle sentenze Kyterion ed Aemilia, dal nome in codice per le operazioni delle Dda di Catanzaro e Bologna che nel gennaio 2015 colpirono con una manovra a tenaglia la super cosca capeggiata dal boss Nicolino Grande Aracri, che comandava su mezza Calabria e parte dell’Emilia e della Lombardia e rivendicava audacemente pariteticità e autonomia da Polsi.
Anche il clan vibonese dei Bonavota aveva aderito al progetto della “provincia” di ‘ndrangheta autonoma da quella reggina. Nelle carte della mega inchiesta Rinascita sono, del resto, confluite anche le dichiarazioni del pentito Raffaele Moscato, che rivela appunto che i Bonavota, storicamente riconosciuti da Polsi, volevano aderire alla nuova “provincia”.
«Quando dico che anche parte del Vibonese stava aderendo a questo progetto mi riferisco alla cosca Bonavota di S. Onofrio, che quindi precedentemente faceva capo alla provincia di ‘ndrangheta di Reggio Calabria – ha detto Moscato hai pm Antimafia – Prima della creazione di questa autonoma provincia del Catanzarese, tutte le strutture di ‘ndrangheta facevano capo a Reggio Calabria… in quel periodo i Bonavota erano capeggiati da Pasquale Bonavota e dal fratello Domenico e loro stavano portando avanti, tramite gli opportuni appoggi ‘ndranghetistici, questo progetto di distaccarsi da Reggio Calabria ed aderire a questa nuova provincia».
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