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Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (CROTONE) – Nel carcere di Milano Opera allo stato non c’è nessun contagio accertato e non ci sono neanche casi sospetti di Coronavirus, e il consulente di parte si basa su «considerazioni statistiche astratte». Per questo il Tribunale di Reggio Emilia presieduto da Cristina Beretti ha respinto l’istanza per la concessione degli arresti domiciliari avanzata a fine aprile dal difensore di Nicolino Grande Aracri, 62enne capocrimine ergastolano, vertice indicusso della “provincia” di ‘ndrangheta di Cutro.

Oltre al parere negativo della Dda di Bologna e alla dettagliata relazione del penitenziario, che esclude rischi di contagio alla luce delle precauzioni prese, il collegio giudicante (competente a decidere non potendosi riunire la Corte d’Assise davanti alla quale il boss cutrese è sotto processo con l’accusa di essere il mandante di due omicidi del 1992, quando furono uccisi Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggero, a Reggio Emilia), i giudici hanno deciso sulla base di un confronto dell’incidenza percentuale del Covid sulla popolazione in Lombardia e a Cutro.

L’avvocato Gregorio Viscomi aveva, infatti, chiesto i domiciliari nell’abitazione di contrada Scarazze, dove si trova la famigerata tavernetta, monitorata dalle Dda di mezza Italia perché nel breve periodo in cui il boss rimase libero si rimise all’opera e là dentro era un crocevia di boss e loro gregari e di professionisti collusi. Ma nel provvedimento si rileva che Cutro «presenterebbe una situazione di 98 contagiati rispetto a una popolazione di poco più di 10mila abitanti». Errato.

A Cutro, peraltro ex zona rossa, i contagiati sono stati in tutto 12 di cui 8 guariti ormai. Insomma, il rischio contagio a Milano Opera per i giudici è «sicuramente inferiore» rispetto ai domiciliari a Cutro ma il dato riportato non è aderente alla realtà dei fatti. Grande Aracri resta in carcere, è appena il caso di rilevarlo, anche sulla base di «imprescindibili» esigenze cautelari giustificate con il contesto di ‘ndrangheta in cui sono maturati gli omicidi contestati nel dibattimento nel corso del quale i pentiti lo hanno descritto come «capo indiscusso», come risulta anche dalla sentenza Kyterion con cui il boss è stato condannato alla massima pena anche in quanto mandante dell’omicidio del rivale Antonio Dragone, assassinato nel maggio 2004.
Intanto, spuntano nuove soluzioni per far ripartire il processo parallelo Aemilia, contro il sodalizio calabro-emiliano di cui lo stesso Grande Aracri è ritenuto vertice.

Il processo d’appello è ormai fermo da due mesi ma è ancora alle battute iniziali per i rinvii dovuti all’emergenza sanitaria. L’aula bunker del carcere della Dozza, a Bologna, allestita per ospitare il maxi-processo più grande contro le mafie al Nord. Sono circa 120 gli imputati, ma l’aula può contenere, perché sia assicurata la sicurezza, al massimo 50 persone, secondo le stime fatte dopo un’ispezione sanitaria. Ma nelle prime udienze, prima della pandemia, il numero di presenti era circa il triplo, tra avvocati, imputati e magistrati.

La strada su cui la Corte d’appello bolognese sta ragionando è quella di separare il destino di imputati detenuti, una trentina, dagli altri a piede libero. Poi eventualmente tra qualche mese, se le condizioni dovessero cambiare, i due tronconi potrebbero essere nuovamente riuniti. La questione dovrebbe essere discussa e decisa nell’udienza fissata per giovedì ma resta il problema sul numero di persone presenti quel giorno. La Corte ha chiesto ai difensori di dire chi intende essere in aula ed è più che probabile che il numero limite venga superato.

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