Nicolino Grande Aracri
2 minuti per la letturaCUTRO – Sono divenute definitive 27 condanne per la super cosca di Cutro, tra cui quella all’ergastolo per il boss Nicolino Grande Aracri, monitorato dalle Dda di mezza Italia perché sarebbe il capo supremo di una super cosca che comandava sulla Calabria mediana e settentrionale e voleva staccarsi dal crimine reggino, segnando una rivoluzione nella geografia mafiosa calabrese, e aveva filiali relativamente autonome in Emilia e Lombardia. Lo ha deciso, a conclusione del processo Kyterion, la Corte di Cassazione, accogliendo le richieste del sostituto procuratore generale Paola Filippi, lo stesso che aveva sostenuto l’accusa nel processo Aemilia, il più grande contro le mafie al Nord.
Sono due processi paralleli, Kyterion e Aemilia, ai quali bisogna aggiunge il processo Pesci. Kyterion, Aemilia e Pesci sono i nomi in codice per le operazioni condotte rispettivamente dalle Dda di Catanzaro, Bologna e Brescia che nel gennaio 2015 condussero una manovra a tenaglia contro la nuova “provincia” di ‘ndrangheta, stroncando l’audace rivendicazione di autonomia dal crimine di Polsi, casa madre della mafia calabrese, e l’aspirazione alla pariteticità con la “provincia” reggina. Da quell’aggressione giudiziaria senza precedenti contro la cosca sono scaturiti processi sparsi in mezza Italia per oltre 300 persone in gran parte di Cutro. Gli ermellini hanno respinto i ricorsi difensivi, alcuni ritenuti inammissibili, annullando con rinvio soltanto la condanna per Carmine Riillo in relazione all’accusa di associazione mafiosa operante a Isola Capo Rizzuto. Viene sostanzialmente confermato il verdetto emesso nel luglio 2018 dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro che, in particolare, a Grande Aracri inflisse una pena più grave dei 30 anni comminatigli in primo grado dal gup distrettuale. Ma diventa definitivo l’ergastolo anche per il fratello Ernesto, che in primo grado ebbe 24 anni, e passa in giudicato la condanna a 30 anni di reclusione per Angelo Greco, di San Mauro Marchesato, che aveva avuto 24 anni anche lui.
Sono accusati tutti e tre dell’omicidio del boss Antonio Dragone, commesso nel maggio 2004. Nicolino Grande Aracri è accusato anche di essere a capo della “provincia” di ‘ndrangheta che estendeva i suoi tentacoli ben oltre il Crotonese, dal Vibonese alla Sibaritide passando per la fascia jonica catanzarese, su parte dell’Emilia e della Lombardia, e rivendicava audacemente l’autonomia da Reggio Calabria. Regge l’impianto accusatorio messo su dal pm Antimafia Domenico Guarascio, applicato anche in Appello per il procedimento. In Appello furono condannati anche i tre che erano stati assolti in primo grado. Cinque imputati hanno addirittura rinunciato a proporre ricorso in Cassazione. Ma questo è soltanto il filone del rito abbreviato, perché bisogna aggiungere le undici condanne decise nel rito ordinario definitosi nel febbraio 2018 davanti al Tribunale penale di Crotone e che viaggia verso la sentenza di secondo grado.
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