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Leonardo Sacco

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ROMA – La Cassazione ha confermato l’accusa di far parte del clan Arena, a livello “apicale”, nei confronti di Leonardo Sacco, ex vicepresidente nazionale delle Misericordie che nel ruolo di governatore della fraternità di Isola di Capo Rizzuto è stato individuato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro come colui che avrebbe “garantito e assicurato”, alla ‘ndrangheta, il servizio di catering dei pasti del Cara per migranti di Sant’Anna.

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Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il business durato circa dieci anni a partire dal 2006 avrebbe assicurato proventi milionari «attraverso un sistema di fatture gonfiate, documentanti prestazioni e costi totalmente o parzialmente inesistenti» così da «accaparrarsi la quasi totalità delle risorse stanziate per l’assistenza ai migranti ricoverati nel centro» che, dopo il Cara di Mineo, è il secondo più grande hub di accoglienza.

A ricostruire l’infiltrazione mafiosa nel Cara del crotonese, è il verdetto 4087 depositato dalla Cassazione il 28 gennaio dopo una ‘gestazione’ di quasi un anno: la relativa udienza risale al sei febbraio 2018, quando è stato respinto il ricorso di Sacco contro la custodia in carcere convalidata dal Tribunale del riesame di Catanzaro il 15 giugno 2017. Ad avviso degli ‘ermellini’, il materiale accusatorio dimostra una «plausibilità logica e giuridica» concernente «la responsabilità» di Sacco – recluso a Rebibbia – «in ordine al delitto di cui all’art. 416bis cp».

Per l’ex governatore, è in corso il processo di primo grado con rito abbreviato – scelto da 85 degli oltre cento indagati nell’inchiesta ‘Jonny’ – e la Procura ha chiesto venti anni di reclusione per Sacco.

Gli ‘ermellinì lo definiscono il «figlioccio adottivo» di don Eduardo Scordio, «personaggio insospettabile», anche lui a suo tempo arrestato e poi trasferito ai domiciliari: sua la «proposta di affari» agli Arena.

Il clan nel 2006 aveva raggiunto la ‘pax mafiosa’ con la famiglia rivale dei Nicoscia «al fine di meglio sfruttare la fonte inesauribile di erogazione di denaro pubblico che si riversava sul territorio per la gestione del centro di accoglienza».

«Una parte degli utili così conseguiti – scrivono i supremi giudici – secondo il piano abilmente congegnato, sarebbe rimasta nella disponibilità del suo artefice, Eduardo Scordio, e nella disponibilità dell’altro sodale che avrebbe garantito e assicurato l’attuazione dell’illecito sistema: Leonardo Sacco, governatore della Misericordia e figlio adottivo dello Scordio, colui che avrebbe preparato i bandi di gara, assegnato i subappalti, erogati i pagamenti ai fornitori».

Uomini della ‘ndrangheta – Angelo Muraca e Antonio Poerio – che fino a poco prima «avevano redditi al limite dell’indigenza, erano divenuti nel giro di poco tempo, gestori di fiorenti attività di ristorazione, finanziate con capitali della cosca, ed avevano ottenuto in subappalto l’assegnazione» del catering del Cara crotonese «aggiudicato alla Confederazione delle Misericordie d’Italia e da questa affidato alla sua articolazione periferica di Isola di Capo Rizzuto».

Secondo le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, per gli ‘ermellini’ «tutt’altro che generiche», il clan dava a Sacco anche il 10% dei proventi dell’usura per fare «investimenti» dato che era «un abile broker». L’unica accusa che per la Cassazione è da riscontrare riesaminando le convenzioni tra Prefettura e Misericordie, è quella relativa a sei episodi di malversazione. 

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