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Santino Mercurio monitorato durante le indagini

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Colpiti con 5 fermi i nuovi assetti del “locale” di ‘ndrangheta di Verona, articolazione al Nord delle cosche di Isola. Nuovi assetti dopo gli arresti degli anni scorsi. Il nuovo capo era Santino Mercurio


ISOLA CAPO RIZZUTO – Disarticolati con cinque fermi i nuovi assetti del “locale” di ‘ndrangheta di Verona, articolazione al Nord delle cosche di Isola Capo Rizzuto. La Dda di Venezia ha condotto un’operazione parallela a quella messa a segno dalla Dda di Catanzaro che nei giorni scorsi ha arrestato 17 persone. Una vera manovra a tenaglia contro i clan Arena-Nicoscia di Isola e le loro propaggini in Veneto. In carcere Santino Mercurio, di 68 anni, Francesco Bova (40), Francesco Pollinzi (63), Giovanni Sorrentino (59) e Angelo Micillo (51), l’unico non calabrese del gruppo essendo originario di Napoli ma residente a Povigliano Veronese.

I RUOLI

Ad avere assunto la direzione dell’organizzazione dopo l’arresto di Antonio Giardino, vertice del clan decapitato negli anni scorsi con l’operazione Isola Scaligera, sarebbe stato Santino Mercurio, già affiliato dal 2000. Sarebbe stato lui a fornire direttive ai sodali su come reinvestire il denaro frutto di estorsioni e traffici di stupefacenti. Il genero Francesco Bova, con la carica di “contabile”, avrebbe avuto il compito di gestire la cassa comune del clan e di reinvestire i proventi illeciti in attività imprenditoriali e false fatturazioni. Giovanni Sorrentino e Francesco Pollinzi avrebbero gestito imprese edili e raccolto denaro, anche tramite false fatturazioni, da consegnare ad esponenti della cosca.

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LE ACCUSE

Mentre gli altri sono accusati di associazione mafiosa, oltre ai vari reati fine, Angelo Micillo risponde di concorso esterno in associazione mafiosa. Si sarebbe occupato di gestire, per conto del clan, quattro società cedendo sottocosto il credito d’imposta e portando a bancarotta una delle ditte. Un affare da 600mila euro, metà dei quali doveva servire per acquisire un terreno nel Veronese su cui famiglie di ‘ndrangheta intendevano costruire un complesso residenziale. Un paio gli episodi estorsivi di cui il gruppo si sarebbe reso responsabile in Veneto. Numerose le intestazioni fittizie volte a eludere eventuali sequestri e confische e i reati di natura economico-finanziaria. Numerosi anche i reati di armi contestati. Luce anche su una parallela associazione a delinquere dedita al narcotraffico.

IL PAPA EMERITO

Secondo i pm antimafia Federica Baccaglini e Andrea Petroni, che hanno coordinato le indagini dei carabinieri, l’ascesa di Santino Mercurio, zio del collaboratore di giustizia Domenico Mercurio, sarebbe riconducibile ai nuovi assetti. Prima deputato ad incarichi di secondo piano, secondo il pentito Mercurio sarebbe stato “un papa emerito”. L’attuale posizione verticistica si ricaverebbe da intercettazioni che dimostrerebbero che ormai lui aveva l’ultima parola nella deliberazione delle azioni violente. Infatti, avrebbe dato il benestare per un incendio. «Se ci siamo noi non si avvicina nessuno», avrebbe detto nel corso di una conversazione intercettata nel corso della quale si parlava del timore dei lavoratori di un cantiere a Chioggia preoccupati di poter essere avvicinati da esponenti mafiosi.

IL FIANCHEGGIATORE

Interessante, dal punto di vista investigativo, il ruolo di Francesco Bova, che avrebbe fatto parte della cerchia di favoreggiatori di Fabrizio Arena la cui latitanza finì nel 2010 a Steccato di Cutro. Il locatore dell’appartamento dichiarò agli inquirenti di aver affitato a Bova l’appartamento in cui il latitante fu pizzicato. Ed erano proprio quelle di Bova le generalità del documento contraffatto di cui fu trovato in possesso Arena. Bova ne parla in un’intercettazione. «Quando l’hanno arrestato camminava con i documenti miei».

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