La processione di San Cataldo a Cirò Marina
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‘Ndrangheta e riti religiosi, scoppia un nuovo caso: a Cirò processione di San Cataldo deviata per passare sotto casa dei capimafia
CIRÒ (CROTONE) – «Non è successo nulla, nessuna polemica, tutto tranquillo», dice al Quotidiano don Matteo, da non confondere con quello della celeberrima serie televisiva. Eppure le sequenze che si sarebbero riproposte il 9 maggio scorso, durante la processione in onore di San Cataldo Vescovo, sarebbero quelle previste da un copione che si ripete. Inchini ai boss e tavoli votivi sotto le loro case.
«Tutto tranquillo», allora? Il parroco della chiesa Santa Maria de Plateis di Cirò, Matteo Giacobbe, secondo un’informativa inoltrata dai carabinieri della Stazione locale alla Dda di Catanzaro, avrebbe deviato arbitrariamente il percorso del corteo religioso svoltosi nel borgo collinare, noto come la “città del vino”. La processione sarebbe così passata sotto le case di presunti capimafia e affiliati al “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, già arrestati – e poi condannati – nell’operazione “Stige”, con cui nel gennaio 2018 fu inferto un duro colpo ad una super associazione mafiosa il cui dominio si estendeva, oltre che sul Cirotano, su parte del Cosentino, con proiezioni in Nord Italia e in Germania. Ma, nonostante i 170 arresti dell’operazione Stige, la cosca si sarebbe riorganizzata con le nuove leve, come emerso dalla più recente inchiesta “Ultimo Atto”.
CIRÒ, LA PROCESSIONE DEVIATA PER PASSARE DAI CAPIMAFIA
In particolare, la processione si sarebbe snodata anche in via Tafanè, nelle vicinanze dell’abitazione di Basilio Paletta, attualmente in stato di libertà, e in via Canali, per una breve sosta dinanzi all’abitazione di Vittorio Bombardiere, agli arresti domiciliari. Dinanzi casa di Bombardiere era stato allestito un tavolo dove appoggiare la statua del santo per il banchetto.
La processione, questo vuole la tradizione, si ferma nei pressi del banchetto, su cui i portantini poggiano la statua; il parroco benedice il tavolo e la famiglia che lo ha preparato. Di solito si offrono dolciumi e bibite ai fedeli in processione. Ma ci sono anche offerte di denaro al parroco. I militari impegnati nel servizio di ordine pubblico hanno quindi richiamato il sacerdote al rispetto dell’itinerario preventivamente concordato con l’autorità.
I CARABINIERI SCRIVONO ALLA DDA
Quindi, mentre lasciavano il luogo della cerimonia per documentare l’accaduto, hanno constatato, passando da via S. Elia, la presenza di un tavolo analogo allestito presso l’abitazione di Vittorio Farao, attualmente detenuto a Trapani e ritenuto esponente apicale della consorteria criminale, essendo il figlio di Silvio, uno dei capi ergastolani della super cosca. Poco dopo, la moglie di Vittorio Farao è andata in caserma a protestare perché, a causa del divieto del comandante della Stazione dei carabinieri, il parroco aveva impedito la sosta della processione sotto casa sua.
Si riallungano i tentacoli sulle processioni religiose, spesso oggetto di odiose strumentalizzazioni funzionali al consenso mafioso. E si ripropone la religiosità soltanto esibita dei boss. La ‘ndrangheta dalla vocazione affaristica e dalla forma liquida che abbiamo imparato a conoscere grazie alle inchieste antimafia degli ultimi anni non dimentica la tradizione.
I RAPPORTI TRA I BOSS E I RITI RELIGIOSI
Ecco alcune prove recenti. Il latitante Pasquale Bonavota, ritenuto esponente di primo piano dell’omonima cosca vibonese, preso in cattedrale, nei giorni scorsi, a Genova, mentre pregava. Il killer ergastolano Massimiliano Sestito, originario di Gagliato, evaso sul finire del gennaio scorso, arrestato una settimana dopo nel Napoletano con addosso un rosario e immagini sacre: la Madonna della Catena, patrona di Polistena e protettrice dei carcerati, ma anche santa Rita da Cascia e il volto di Gesù; e dopo la perquisizione chiede di riavere i santini.
Il boss di San Leonardo di Cutro, Alfonso Mannolo, che un anno fa faceva dichiarazioni spontanee nel corso di un’udienza del processo Malapianta, brandendo, durante il collegamento in videoconferenza con il Tribunale penale di Crotone (che poi l’avrebbe condannato a 30 anni), un’immagine del Crocifisso e annunciando che non avrebbe “tradito” mai Gesù Cristo. Rispunta la religiosità soltanto esibita, quella dei boss, anche nelle sequenze più recenti filmate dalle ultime operazioni anti ‘ndrangheta al Nord, se si consideri che agli esponenti del “locale” di Rho non era consentito avere rapporti sessuali con prostitute. Ma è una morale doppia.
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Ma come fa un paese a crescere culturalmente quando la figura del parroco dovrebbe dare l’esempio si comporta cosi.
Una figura di un coglione che si nasconde dietro ad un abito talare è peggio di un mafioso.
Qualcuno dovrebbe dire a questo fenomeno di ricominciare a studiare ricominciando dall’asilo.