Un'operazione della polizia
5 minuti per la letturaCROTONE – Beni per circa 8 milioni di euro sono stati sequestrati stamane dalla Polizia, in Umbria e Calabria, su mandato della Dda di Catanzaro, I provvedimenti colpiscono contemporaneamente propaggini della ‘ndrangheta crotonese sia nei territori d’origine che nelle regioni di proiezione degli interessi dell’organizzazione mafiosa.
Si tratta di beni, assetti societari e rapporti finanziari riconducibili, secondo gli inquirenti, agli eredi di un esponente di vertice della cosca Trapasso di San Leonardo di Cutro (KR), deceduto nel 2020, nonché uomo di fiducia di Cosimo Commisso, capo dell’omonoma cosca di Siderno (RC), e ad un imprenditore calabrese, entrambi indicati nelle indagini come elementi di riferimento in territorio umbro per gli affiliati alla consorteria mafiosa e a diverse altre famiglie di ‘ndrangheta dell’area ionico-catanzarese.
E’ morto per Covid nel 2020, mentre era detenuto, A.R., l’esponente della cosca Trapasso di San Leonardo di Cutro ai cui eredi la Polizia di Stato, stamane, ha sequestrato beni nell’ambito dell’operazione che ha portato gli inquirenti a bloccare un patrimonio di circa 8 milioni di euro.
L’altra persona destinataria del sequestro è un imprenditore del crotonese, a sua volta arrestato nella stessa operazione. Per entrambi le accuse, a vario titolo, di associazione mafiosa, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla detenzione e all’occultamento di armi clandestine, nonché di associazione finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario, al riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e al trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso.
L’operazione per il sequestro beni
Al riguardo il Servizio Centrale Anticrimine e le Divisioni Anticrimine di Perugia e Crotone hanno eseguito 2 distinti provvedimenti di sequestro finalizzato alla confisca, emessi dal Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione di Catanzaro, su altrettante proposte formulate dal Procuratore Gratteri, congiuntamente ai questori delle menzionate province.
I destinatari di provvedimenti sono stati tratti in arresto nel 2019, a Perugia, nell’ambito dell’operazione “Infectio”, condotta dalla Polizia di Stato con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla detenzione e all’occultamento di armi clandestine, nonché di associazione finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi ai danni del sistema bancario, al riciclaggio, all’intestazione fittizia di beni e al trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso.
L’inchiesta, oltre ad aver dimostrato l’operatività in Umbria della “locale” di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro (KR), avrebbe consentito, tra l’altro, di accertare l’esistenza di un sodalizio criminale dedito all’infiltrazione nel tessuto economico e imprenditoriale della regione, che ha evidenziato una notevole dimestichezza nel manipolare istituti societari, contabili e finanziari in modo da trarne ulteriori benefici economici. I perni del complesso sistema criminale sarebbero rappresentanti proprio dagli odierni destinatari dei provvedimenti di sequestro.
In particolare, il primo, collocato al vertice della propaggine mafiosa calabrese in Umbria, rappresentava il principale promotore e organizzatore, unitamente al figlio e al cognato, del traffico di stupefacenti introdotti in quella regione dalla Calabria, intrattenendo rapporti anche con organizzazioni criminali albanesi. Il secondo aveva assunto la gestione di un articolato sistema volto alla commissione di reati di natura finanziaria e tributaria, propedeutici alla consumazione di truffe in danno degli istituti di credito.
L’attività criminosa, che nel solo lasso temporale interessato dalle indagini avrebbe fruttato introiti al sodalizio per circa 700 mila euro, faceva leva sulla costituzione o acquisizione, attraverso prestanome nullatenenti, di società cartiere, alle quali, attraverso condotte illecite di natura tributaria e finanziaria – come la redazione di falsi bilanci societari, false fatturazioni, aumento fittizio di capitali sociali, evasione fiscale – veniva conferita un’ingannevole parvenza di vitalità e dinamicità, al fine di consentirne, pur in assenza dei requisiti, l’accesso al credito bancario.
Ottenuti i crediti, si creavano le condizioni per una dichiarazione di fallimento o, ancora, realizzare un giro vorticoso di trasferimenti d’azienda in favore di altri soggetti non rintracciabili o comunque non aggredibili dal punto di vista imprenditoriale, con l’obiettivo di impedire all’istituto bancario erogante il recupero del finanziamento accordato.
Le indagini, oltre a documentare la pericolosità sociale degli indagati, i cui trascorsi criminali abbracciano oltre un trentennio, avrebbero consentito di accertare come, nel tentativo di sfuggire all’azione dello Stato, abbiano reinvestito, attraverso l’interposizione fittizia di stretti congiunti o di terze persone, i proventi delle attività delittuose non solo nell’acquisto di beni mobili e immobili di ingente valore, ma anche in compagini societarie, operanti prevalentemente nel campo dell’edilizia, degli autotrasporti e della ristorazione.
Le società in questione, dietro lo schermo dei “prestanome”, erano oggetto di una gestione criminosa sia sotto il profilo contabile che fiscale ed erano funzionali ad assicurare alla cosca di riferimento il controllo economico–imprenditoriale dei relativi settori di interesse nella provincia di Perugia e Crotone, anche attraverso il compimento di atti estorsivi e di illecita concorrenza.
Dagli approfondimenti patrimoniali effettuati è emerso che, a fronte di una situazione dei loro nuclei familiari di natura modesta o addirittura inadeguata anche al semplice soddisfacimento delle primarie esigenze quotidiane delle persone, gli indagati avevano acquisito la disponibilità e il dominio di fatto di 9 compagini societarie; un’impresa individuale; 42 immobili, tra terreni e fabbricati; 41 automezzi; 5 veicoli; 3 posizioni nell’ambito di altrettanti contratti di leasing per l’acquisto di veicoli; circa 50 rapporti finanziari, titoli e depositi.
Il colpo ai patrimoni dei clan
Il prefetto Francesco Messina, Direttore Centrale Anticrimine ribadisce che «innalzare la capacità di colpire i patrimoni accumulati dalle organizzazioni criminali è la nuova sfida dell’azione di contrasto della Polizia di Stato alla criminalità organizzata di stampo mafioso. La piena operatività del connubio questore procuratore della Repubblica nella proposizione e nell’esecuzione delle misure di prevenzione patrimoniali congiunte è garanzia del raggiungimento del miglior risultato possibile. Il sequestro degli ingenti patrimoni illecitamente guadagnati completa il lavoro svolto dalla Polizia di Stato contro la componente militare di queste organizzazioni criminali e l’eccellente risultato conseguito sull’asse Perugia/Crotone con la Procura della Repubblica di Catanzaro testimonia plasticamente la strategia adottata negli ultimi tre anni dalla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato grazie al Servizio Centrale Anticrimine e alle Divisioni Anticrimine delle Questure».
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