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REGGIO EMILIA – Usano il nome delle cosche di ìndrangheta dei Grande-Aracri per minacciare un giudice, un commerciante, finito nei guai per un’evasione fiscale, e un sacerdote sono stati quindi arrestati con l’accusa di minacce al giudice Cristina Beretti, presidente del tribunale di Reggio Emilia e componente del collegio del processo di ‘Ndrangheta Aemilia a carico proprio del clan Grande-Aracri.
Le misure cautelari, chieste dalla Procura di Ancona, sono state eseguite nei confronti di Aldo Ruffini, 74 anni, e don Ercole Artoni, 88 anni. Il primo è in carcere, il secondo ai domiciliari. I due rispondono di minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti il sacerdote sarebbe andato dal magistrato affermando: «Sa che a Reggio Emilia c’è un braccio speciale dove sono detenuti gli imputati di Aemilia? Uno di loro mi ha detto di venire da lei e di dirle di stare molto attenta e soprattutto di stare lontana dalle finestre dell’ufficio (…) un altro di loro ha detto di stare attenta che sanno dove studia suo figlio».
Queste parole sarebbe state pronunciate da don Ercole Artoni il 18 dicembre 2017 quando il sacerdote si recò nell’ufficio del giudice Beretti con il pretesto di fare gli auguri di Natale e facendo intendere di essere a conoscenza delle minacce, in quanto volontario spirituale all’interno del carcere. Le frasi sono citate nell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Ancona. Il sacerdote, poi, aggiunse al magistrato che «dicono che lei nel collegio di Aemilia ha molta influenza sugli altri giudici e che praticamente decide lei e in più per le cose che ha fatto in passato (…)».
In particolare, secondo l’accusa il sacerdote, 88 anni, fondatore a Reggio Emilia del Centro Sociale Papa Giovanni XXIII, in concorso col commerciante Aldo Ruffini a cui erano stati sequestrati i beni per una vicenda di evasione fiscale, fece giungere minacce anche di morte al magistrato «al fine di impedire e turbare in tutto o in parte la regolarità dell’attività processuale e ottenere il dissequestro o l’assoluzione».
Il prete, dunque, su mandato di Ruffini, andò nell’ufficio del giudice dicendole, come detto, che alcuni detenuti nel processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia’ parlavano male di lei e che doveva stare attenta, aggiungendo che doveva restituire le cose sequestrate ad un coimputato di Ruffini.
Dal canto suo, Ruffini, invece, attorno al 27 gennaio 2018, è accusato tra l’altro di essere andato in un bar vicino alla casa del giudice, locale frequentato da lei quotidianamente, e di aver chiesto al gestore notizie sul magistrato. Ai due indagati è contestata anche l’aggravante di aver fatto le minacce valendosi della forza intimidatrice derivante dalla segreta associazione esistente o comunque supposta in quanto facevano riferimento agli associati della ‘ndrangheta cui fanno a capo i Grande Aracri, processati in Aemilia, processo presieduto anche da Beretti.
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