L'auto incendiata nel dicembre 2021 a Cutro
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Il pentito Aloe svela il movente dell’incendio dell’auto dei Martino a Cutro, summit col boss Megna tra i bovini per la pax
CUTRO – Sarebbe stato il boss di Papanice Domenico Megna il mandante dell’incendio dell’auto Audi “A4” di Francesco Martino, avvenuto nel dicembre 2021 a Cutro: lo sostiene il collaboratore di giustizia Gaetano Aloe, l’ultimo dei pentiti di ‘ndrangheta del Crotonese, che alla Dda di Catanzaro ha svelato i nuovi equilibri criminali. «Vi sono sempre stati contrasti tra il clan capeggiato da Mico Megna e quello capeggiato da Nicolino Grande Aracri».
Secondo Aloe, le cui rivelazioni sono molto recenti (risalgono al maggio 2023) e sono state utilizzate dagli inquirenti che l’altra notte hanno condotto l’operazione Sahel, dopo l’arresto di Grande Aracri «la situazione è molto variata». Megna avrebbe imposto la presenza nel territorio di Cutro di suoi rappresentanti di fiducia disconoscendo il ruolo dei Martino, la cui figura apicale è Vito, l’ergastolano detenuto che faceva parte del gruppo di fuoco del boss Grande Aracri e che aveva in animo di riorganizzare la cosca Grande Aracri dopo il sia pure finto pentimento del boss. Almeno secondo la ricostruzione dei carabinieri della Sezione operativa della Compagnia di Crotone e i pm antimafia Vincenzo Capomolla, Domenico Guarascio e Paolo Sirleo.
IL DIKTAT E I FRONTI DI GUERRA
«Il capo di Papanice pretendeva che Vito Martino ed i suoi figli non esercitassero la loro supremazia a Cutro. Pertanto volle dare loro un segnale disponendo che la macchina di Martino venisse incendiata». Aloe sa anche che Martino andò a Papanice da Megna «per chiedere giustizia» ma questi gli avrebbe detto esplicitamente che «era stato proprio lui a volere questo danneggiamento». La fonte di Aloe sarebbe lo stesso Francesco Martino, che frequentava il Cirotano avendo intrecciato una relazione sentimentale con una ragazza della zona. Insomma, secondo Aloe, il diktat di Megna era che «i Martino non potevano muoversi autonomamente sul territorio cutrese».
Ma i fronti di guerra aperti erano due. C’era la contrapposizione con la famiglia Ciampà, alleata del vecchio boss Antonio Dragone, la cui famiglia è stata quasi interamente sterminata nella guerra di mafia vinta da Grande Aracri. Dopo il pentimento farsa i Ciampà rialzano la testa e in questa situazione fluida si inserisce Megna, che vuole occupare il vuoto di potere dopo la perdita di prestigio di Grande Aracri negli ambienti criminali. Un contesto che si ricava dai colloqui in carcere intercettati mentre Salvatore e Francesco Martino e la loro madre Veneranda Verni andavano a far visita al padre detenuto. Ma anche da quelli captati subito dopo il rogo. «Ci succede qualcosa», diceva la donna, la cui auto Lancia “Y” era stata anch’essa lambita dalle fiamme.
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IL RAGGIRO E LA RIVALITÀ
Ad occuparsi della rimozione del veicolo incendiato fu Antonio Colacino, peraltro padrino di Francesco Martino. Colacino ipotizzò un “traggiro”, un modo per far ricadere la colpa su altri, nel gergo ‘ndranghetistico. I sospetti inizialmente ricadono sulla famiglia Ciampà ma da una serie di informazioni acquisite dal clan l’ipotesi viene esclusa. «Ti spaventi che ti ammazzano? Non hanno ammazzato prima i vecchi e ammazzano ora», dice la donna sostenendo che i Ciampà non abbiano il “potere”, l’autorevolezza criminale, per compiere omicidi.
Nel corso di un successivo dialogo emerge la rivalità con i Ciampà. Veneranda Verni, alludendo al torto subito, dava sfogo al rancore verso la famiglia contrapposta. «Loro sono liberi e noi in galera. Magari non sono loro… Dobbiamo stare calmissimi… Quando è il momento giusto se ne parla… Se facciamo lo stesso gioco non lo fanno uscire più, dicono che la guerra è ricominciata… Per una macchina ci sporchiamo?». Il riferimento è all’opportunità di evitare azioni d’impeto che potrebbero impedire permessi premio a Vito Martino. Ma la donna commenta anche il fatto che la figlia di Megna non si sia fatta “vedere” dopo l’intimidazione.
CUTRO, MEGNA E L’INCENDIO DELL’AUTO DI MARTINO: L’AFFRONTO E LA REPRIMENDA
La conferma che i “papaniciari” potessero ricoprire il ruolo di mandanti si avrebbe quando i fratelli Martino parlano di un incontro con un nipote di Megna al quale avrebbero mostrato il filmato dell’incendio dell’auto per stimolarlo a parlare. Si riferiscono, durante il colloquio intercettato, al fatto che l’autore del rogo abbia agito senza indossare un cappuccio sebbene si trovasse dinanzi casa di colui che era l’obiettivo dell’intimidazione. «Può essere un affronto», è l’osservazione del nipote di Megna. Insomma, l’avvertimento sarebbe stato nei confronti di qualcuno che avrebbe «detto una parola che non doveva dire». Dai colloqui in carcere emerge che il clan matura la convinzione che l’incendio fosse la dimostrazione di un segnale di forza da parte di Megna per troncare sul nascere tentativi espansionistici della famiglia Martino. «Vogliono comandare e puntano a noi che siamo la famiglia più grossa».
Dai successivi brani intercettati viene fuori che sarebbe stato Francesco Martino, con la sua loquacità, a stuzzicare “il cane che dorme”, ovvero Megna. Al rampollo della famiglia emergente imputano un comportamento irriguardoso che potrebbe avere scatenato la punizione. Ecco la reprimenda di sua madre: «Tu vuoi i morti e la galera… tengono una famiglia i tuoi fratelli, li stai portando a non farli uscire… vedi che quelli ne hanno combinata una più del diavolo». L’avvertenza è: «parla poco, altrimenti tuo fratello ti manda all’ospedale».
CUTRO, MEGNA E L’INCENDIO DELL’AUTO DI MARTINO: Il SUMMIT
Il 9 febbraio 2022 l’incontro con il boss Domenico Megna a Papanice avviene, su mediazione di Salvatore Peta, storico affiliato della cosca Grande Aracri ritenuto vicino ai Megna e per questo sospettato dai Martino di essere un “traggiratore”. All’incontro avrebbe preso parte, oltre a Francesco e Salvatore Martino, anche Mario Megna, braccio destro del boss. Dal colloquio si capisce che il movente dell’incendio era legato al fatto che Francesco Matino aveva detto qualche parola di troppo che Megna non avrebbe gradito al punto da disporre l’azione intimidatoria. Peta avrebbe difeso Francesco Martino nonostante il comportamento scorretto perché troppo giovane. «Lasciatelo andare ‘sto ragazzo». «Però ti devi stare più calmo, ti auguro tanta fortuna», sarebbe stato il saluto sinistro del boss.
Dopo il resoconto che fanno i figli al padre detenuto, Vito Martino dimostra chiaramente di non aver gradito quel “buona fortuna”, ma l’interpretazione che i giovani danno è più rassicurante. “Ti auguro il meglio, non ti agitare”. Sta di fatto che Megna non avrebbe preso, nel corso dell’incontro, una posizione netta sul rapporto da tenere con la famiglia dei Ciampà, rivale dei Martino. Megna non voleva immischiarsi riservandosi di affrontare la questione quando Vito Martino sarebbe uscito dal carcere.
NON TI CONOSCO
La disamina, da parte degli inquirenti, delle conversazioni intercettate non tralascia la sottolineatura di Francesco Martino secondo il quale l’obiettivo di Megna era estendere la sua supremazia, anche a Cutro. In quella fase, grazie anche al tentativo di collaborazione con la giustizia di Grande Aracri che non piacque affatto alle cosche, Megna pensa di soppiantare colui che un tempo era l’indiscusso capo crimine. Ecco perché, la vigilia di Natale 2021, cioè quattro giorni prima dell’incendio, il boss di Papanice, in occasione di un incontro con Francesco Martino per gli auguri natalizi, gli avrebbe detto “non ti conosco”. Vito Martino riflette sul fatto che se ci fosse Grande Aracri, definito come il “pazzo nostro”, tutto questo non sarebbe accaduto. Ma ormai il declino del boss di Cutro era inesorabile. Quattro giorni dopo quel “non ti conosco”, l’incendio.
IL RETROSCENA
Da un altro resoconto del summit, emerge che Peta si sarebbe appartato con Megna in campo aperto, tra i bovini, per eludere eventuali intercettazioni, per chiedere protezione per i fratelli Martino, figli di un “fratello” suo. «Non si è fidato nemmeno delle vacche», avrebbe raccontato poi Peta, sostenendo che quando alzava la voce per farsi sentire il boss Megna lo avrebbe redarguito: “Zitto”. Tante raccomandazioni, per non farsi sentire nemmeno dalle vacche. E poi tanta loquacità che traspare dai commenti successivi al summit.
Ma perché Peta era così vicino a Megna? La risposta, secondo gli inquirenti, la fornisce il pentito Giuseppe Liperoti in un interrogatorio del 2017. Peta, racconta il collaboratore di giustizia, gestiva la piazza della cocaina a Cutro ed era un fedelissimo di Grande Aracri. Nonostante ciò, il boss di Cutro aveva deciso di far uccidere suo figlio Francesco poiché avvezzo a furti in appartamento. Per salvargli la vita, lui chiese un incontro con le famiglie della “montagna” che si tenne proprio a Papanice perché intercedessero nei confronti di Grande Aracri. L’incontro andò a buon fine. La “rabbia” di Peta era per il fatto che, dopo essersi fatto tanta galera per il suo capo, fu costretto a chiedere protezione alle altre famiglie. «Da allora in avanti si è sempre più allontanato dai Grande Aracri per avvicinarsi ai Megna».
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